Condominio negli edifici
nozione |
è una forma di comunione in proprietà forzosa di parti comuni di un edificio. |
Come abbiamo visto la comunione può
costituirsi per volontà dei partecipanti, ma in alcuni casi il legislatore ha
scelto di rendere obbligatoria la comunione.
Ora ci occupiamo del condominio negli edifici; anche in questa ipotesi si parla
pur sempre di comunione, ma di comunione forzosa, indivisibile e irrinunciabile
che ha ad oggetto il solo diritto di proprietà. Per questo tipo di comunione è
prevista una disciplina specifica che si aggiunge, e a volte sostituisce, le
regole previste per la comunione ordinaria.
La materia è stata oggetto di riforma ex l. 220\2012 in vigore dal 18\06\2013,
che ha praticamente riscritto l’originario testo del codice, apportandovi
numerose novità; non perderemo tempo a fare il raffronto tra la vecchia e la
nuova normativa, ricordando che le regole sul condominio sono riportate non solo
negli articoli 1117 e ss. del codice, ma anche nelle disposizioni di attuazione
al codice civile artt. 61-72, dove sono regolati minuziosamente altri aspetti
del condominio. Per tutto quello non previsto dalla disciplina specifica sul
condominio, si applicheranno le regole sulla comunione in generale (art. 1139).
Per esserci condominio è necessario che vi siano delle parti di un edificio in
comproprietà (forzosa) di più soggetti, e allora le questioni da risolvere sono
due:
a) chi sono i comproprietari;
b) su quali parti di una costruzione si estende il codominio.
Rispondiamo alla prima domanda: sono condomini i proprietari di singole unità
immobiliari; quindi se si possiede un appartamento in un palazzo, si sarà
automaticamente condomino.
Abbiamo, allora, una proprietà solitaria (il piano o la porzione di piano) cui
si aggiunge la comproprietà sulle parti comuni.
Fin qui nulla di strano e di nuovo, ma sono considerati condomini anche i
proprietari che sulla unità immobiliare (l’appartamento del nostro esempio)
hanno un “godimento periodico”. Il riferimento è
alla multiproprietà, che l’art. 1117 riconosce perché parla di proprietari a
godimento periodico, ponendo, forse, la parola fine ai contrasti sulla
qualificazione giuridica di questo istituto, definendola come proprietà, o
meglio come “proprietà a godimento periodico”.
Risolto questo problema, passiamo alla seconda questione, e cioè: su quali parti
di una costruzione si estende il codominio?
L’art. 1117 elenca minuziosamente tali parti comuni, un’operazione che dovremmo
ripetere anche noi, per l’importanza della questione; sono, quindi oggetto di
proprietà comune, e quindi in condominio:
1) tutte le parti
dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge
l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi
portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso,
i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate; |
Sono queste, quindi, le parti comuni, ma ciò accade se non risulta
diversamente dal titolo; sarà quindi possibile che alcune parti che si presumono
comuni, siano attribuite in proprietà solitaria a una sola persona, ma, d'altro
canto, non possono essere attribuite al singolo proprietario alcune parti
dell'edificio come le fondazioni o i muri perimetrali.
Si tratta di parti dell'edificio che per la loro funzione sono necessariamente
condominiali.
Potrebbe anche stabilirsi, con il consenso di tutti i condomini, di dividere le
parti comuni, cioè creare una serie di proprietà solitarie, ma a condizione che
la divisione non renda più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino (art.
1119).
Com’è noto a tutti, o quasi, le disposizioni sul codominio si applicano ai
fabbricati dove le proprietà sono divise in senso verticale, cioè ai fabbricati
multipiano, relativamente alle parti comuni di questi, ma l’art. 1117 bis
dispone che la disciplina sul condominio si applica,
in quanto compatibile :
”in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più
condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi
dell'articolo 1117”. Quindi anche ai condomini orizzontali o ai “super
condomini”, dove più edifici hanno in comune delle parti. Ma torniamo a parlare
della disciplina del codominio.
Molte aree comuni condominiali hanno una determinata destinazione d’uso,
prendiamo ad esempio le aree di parcheggio o i locali di portineria o
lavanderia.
È possibile cambiare la destinazione d’uso di tali aree per soddisfare interessi
condominiali? È possibile, ad esempio, trasformare un’area di parcheggio in un
bel giardino perché i condomini, stufi del fumo e del rumore delle autovetture,
hanno pensato di respirare un po’ di più nei cortili?
Sì, l’art. 1117 ter ha previsto modalità e maggioranze necessarie per giungere a
tali cambi di destinazione d’uso. D’altro canto nemmeno con le maggioranze ex
art. 1117 ter si potrà giungere a modificare la vecchia destinazione d’uso con
una nuova destinazione che possa recare pregiudizio alla stabilità o alla
sicurezza del fabbricato o che ne alteri il decoro architettonico.
Può accadere, però, che il nuovo uso preveda anche lo svolgimento di
un’attività, per es. parte dello spazio dei cortili dell’edificio è data in
locazione per permettere un’attività di parcheggio di auto per soggetti estranei
ai condomini; in tal caso l’attività non deve svolgersi in modo da incidere
negativamente, e in modo sostanziale, sull’uso delle parti comuni, tanto che
l’amministratore o anche i singoli condomini possono diffidare l’esecutore, e
chiedere anche la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione,
anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea potrà anche decidere di far
cessare tali attività.
1.
Diritti e doveri dei condomini;
2.L’amministratore del condomino;
3. Assemblea
dei condomini;
4.Il regolamento di condominio.
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