Causa |
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Per comprendere il concetto di causa del negozio è
necessario partire da alcuni esempi tratti dalla vita di tutti i giorni. Le
azioni, anche più semplici, che normalmente compiamo in una giornata sono quasi
sempre indirizzate a un fine; se ho sete prendo un bicchiere d'acqua per bere,
se devo spostarmi posso usare un automobile o un mezzo pubblico pagando un
biglietto.
Scopo, causa, del prendere il bicchiere d'acqua è bere, scopo, causa del
trasporto su un autobus è di giungere nel luogo di destinazione. Tutte le azioni
umane sono, quindi, rivolte a uno scopo, hanno una causa, e questo vale anche
per i negozi giuridici. La causa del negozio giuridico è quindi lo scopo che
attraverso tale mezzo si vuole perseguire.
Questa è una prima definizione della causa, ma in dottrina vi sono diverse teorie sulla causa, e le più importanti sono quelle della causa intesa come scopo economico sociale del negozio (c.d. causa tipica o astratta), e le dottrine che ritengono che la causa sia la ragione concreta che le parti vogliono soddisfare attraverso il negozio (c.d. causa concreta). Cominciamo, quindi, con la nozione tradizionale della causa, intesa come scopo economico sociale del negozio.
Nozione |
la causa è lo scopo, rilevante dal punto di vista sociale e\o economico, che s'intende conseguire attraverso il negozio giuridico |
Secondo l’altra teoria, della causa concreta:
Nozione |
la causa rappresenta gli scopi concreti che le parti attraverso il contratto intendono soddisfare |
Quale delle due scegliere?
Non possiamo dirlo, visto che entrambe hanno dalla loro parte autorevoli
dottrine e giurisprudenza, ma possiamo provare a vedere quali conseguenze
derivano nell’accettare l’una o l’altra teoria.
Per la dottrina che vede la causa come scopo economico sociale del negozio, la
causa è sempre tipica e astratta, nel senso che prescinde dagli scopi effettivi
delle parti, perché realizza una funzione già predeterminata dall’ordinamento,
una funzione, appunto, economico sociale.
Le parti, quindi, non farebbero altro che aderire a un tipo contrattuale già
predisposto dal legislatore, perché l’autonomia privata non servirebbe solo a
realizzare i loro interessi egoistici, ma anche a realizzare una funzione che va
oltre tali interessi, cioè una funzione utile anche alla generalità dei
consociati; ecco che emerge la funzione economico sociale della causa.
Questa tesi ha ispirato il legislatore del 1942, e ciò lo ricaviamo dall’art.
1322 c.c. che nel prevedere i contratti atipici, cioè non previsti dal
legislatore, ne condiziona la validità alla realizzazione di interessi
meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Questa teoria ha il pregio di “socializzare” l’autonomia privata, facendo
emergere un aspetto che il legislatore costituzionale ha affermato per il più
egoistico dei diritti, la proprietà (art. 42 Cost. comma 2). Ma non basta; dal
punto di vista ideologico, si pone come controllo dell’autonomia privata anche
in relazione alla meritevolezza degli interessi che si intendono realizzare con
i negozi, in generale, ma soprattutto con i contratti.
Fermo restando che scegliendo un tipo di contratto tipico, cioè previsto
dall’ordinamento, non si dovrebbe porre un problema di meritevolezza della
causa, proprio perché prevista, per i contratti atipici, non previsti
dall’ordinamento, si porrebbe tale problema; di conseguenza, abbandonando tale
teoria, si correrebbe il rischio di fornire tutela giuridica a contratti
stipulati per capriccio o per un egoismo fine a sé stesso, contratti leciti, ma
totalmente inutili.
D’altro canto accogliere questa teoria porta con sé il rischio di non
considerare gli effettivi interessi che le parti volevano realizzare con il
contratto; in altre parole le parti si troverebbero ingessate nella “causa
tipica”, e si potrebbero trovare frustrate nella realizzazione degli scopi che
volevano perseguire attraverso il contratto, scopi che non emergono dal tipo
scelto; tale problema potrebbe porsi anche per i contratti atipici, se riteniamo
che il “tipo” di questi contrati si rinviene nel modo in cui si è formato e
stabilizzato nella società.
Se, invece, accettiamo la teoria della causa concreta, avremo il vantaggio di
tener conto degli effettivi interessi che le parti volevano realizzare, così
come emergono non solo dal tipo di contratto scelto, ma anche dal complessivo
rapporto che è intercorso tra loro, che trova la sua realizzazione nel
contratto. D’altro canto, accettando questa tesi, rischia di diventare
evanescente la distinzione tra causa e motivi del contratto, questi ultimi, di
regola irrilevanti. Non dimentichiamo poi che accettando la tesi della causa
concreta qualsiasi scopo, purché non illecito, potrebbe essere tutelato innanzi
ai tribunali, in omaggio a un liberismo che comincia a mostrare tutti i suoi
limiti.
Forse la soluzione sta nel mezzo; la causa, infatti, deve essere aderente agli
scopi concreti che le parti volevano realizzare, ma deve anche realizzare una
funzione economico sociale, senza la quale darebbe vita a contratti inutili, e
ciò che è inutile socialmente, alla fine potrebbe anche diventare dannoso.
Sarà quindi questa la prospettiva che seguiremo, causa concreta, ma che svolga
anche una funzione economico sociale.
In ogni caso quale che sia la teoria che sceglie, le conseguenze non saranno poi
così distanti tra loro; anche accedendo alla teoria della causa come scopo
economico sociale, ci sono principi che si desumono dal codice civile, dai quali
si capisce che il giudice oltre a valutare la meritevolezza degli interessi
coinvolti nel contratto, deve comunque ricercare quale sia stata la comune
intenzione delle parti e non limitarsi al senso comune delle parole (art.
1362 c.c.); da questa operazione qualificherà il contratto e quindi il tipo
contrattuale, che per avventura, potrebbe essere ben diverso da quello che
appare, come nel caso in cui si stipuli un contratto denominato di locazione,
con il quale si dà in godimento un bene, ma senza corrispettivo, che ben
potrebbe essere qualificato come comodato, o contratto atipico, sempre che non
sia nullo. Anche se si fosse sostenitori ortodossi della teoria della causa come
scopo economico sociale, difficilmente si potrebbe contestare una tale
decisione.
L'irrilevanza, la mancanza, l'illiceità della causa producono la nullità del
negozio proprio perché ne è viziata la funzione.
Sennonché non sempre è necessario andare a verificare se la causa di un
negozio sia socialmente apprezzabile. Esistono infatti alcuni negozi che sono
previstiti e regolati dalla legge, come la compravendita, dove la valutazione
circa la meritevolezza della causa è stata già compiuta dal legislatore, mentre
in altri casi saranno gli stessi privati che creeranno nuove forme di negozi
(come il leasing) dove sarà necessario verificare l'utilità economica e sociale
della causa. Abbiamo quindi:
La causa, quale che sia le tesi circa la sua natura è pur sempre un elemento
essenziale del negozio giuridico, in generale, e del contratto in particolare
come dispone l'art. 1325 comma primo n. 2.
Di conseguenza il nostro ordinamento vuole che dai contratti e dai negozi
risulti sempre lo scopo, la causa.
Il sistema italiano conosce solo rari casi di negozi "astratti", cioè negozi
dai quali non risulta la causa, e ci riferiamo alla cambiale; questo titolo di
credito, infatti, è emesso senza che si faccia alcun riferimento al rapporto
sottostante che ha spinto l'emittente a formare il titolo; tale rapporto può poi
essere davvero irrilevante nei confronti dei successivi prenditori della
cambiale, hai quali non si potrà opporre il vizio della causa al fine di non
eseguire quanto stabilito nel titolo, mentre la causa sarà rilevante nei
rapporti tra emittente della cambiale e primo prenditore; anche la cambiale,
quindi non è totalmente astratta, ma l'astrazione sicuramente caratterizza il
titolo.
Attenzione, però!
Non confondiamo questa astrazione ( dalla causa), che è vera astrazione, detta
spesso sostanziale o materiale, da quell'altra astrazione detta "astrazione
processuale", come accade, ad es. nella nella promessa di pagamento o
ricognizione del debito.
In questi negozi, infatti, non c'è astrazione della causa, ma quando il
creditore citerà in tribunale il debitore inadempiente, non sarà lui a dover
provare il suo diritto e la causa, ma semmai sarà il debitore a dover provare
che la promessa o la ricognizione è stata fatta senza una valida causa. Appare
evidente, allora, che qui non si prescinde certo dalla causa ( visto che potrà
essere invocata in tribunale), ma vi sarà una semplice inversione dell'onere
della prova, un'astrazione, quindi, ma solo processuale, e non materiale.
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