nozione |
si verifica quando il debitore non esegue, esegue in maniera inesatta o ritarda l'esecuzione della prestazione e consiste nella corresponsione di una somma di danaro equivalente al danno subito (risarcimento per equivalente) o alla rimozione diretta del danno (risarcimento in forma specifica) |
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Come abbiamo già osservato l'inadempimento può far nascere in capo al debitore una responsabilità del danno eventualmente subito dal creditore. Abbiamo anche visto che non ogni inadempimento fa nascere responsabilità, ma solo quello attribuibile al debitore, quello cioè che nasce dalla sua mancanza di diligenza nell'eseguire una prestazione.
In questa sede ci occupiamo della figura risarcimento del danno dovuto da inadempimento delle obbligazioni, ma norme particolari valgono in sede di inadempimento extracontrattuale, di cui ci siamo già occupati, o per specifiche ipotesi previste da singole disposizioni di legge.
Stabilito che l'inadempimento dell'obbligazione provoca, alle condizioni già dette, il risarcimento del danno, vediamo quando il creditore può chiederlo e in che misura.
Il codice civile dedica al risarcimento del danno per inadempimento (o ritardo) delle obbligazioni gli articoli 1223 e seguenti.
La ricostruzione dell'istituto è nel codice semplice e lineare, ma non priva
di problemi interpretativi, come vedremo in seguito.
Vediamola nei suoi punti essenziali;
Rapporto di causa ed effetto, nesso di causalità, che non può mancare per far sorgere la responsabilità.
È anche vero, però, che bisogna considerare anche come il debitore ha posto in essere
l'inadempimento, perché può darsi che l'abbia fatto per colpa, ma può anche
darsi abbia voluto non adempiere, agendo dolosamente.
Questo atteggiamento del debitore non è senza conseguenze, vediamo
perché:
Questo disciplina lineare rischia, però, di essere messa parzialmente in crisi quando andiamo a chiederci che cosa intendiamo per conseguenze "immediate e dirette" dell'inadempimento o, che è la stessa cosa, quando c'è il nesso di causalità tra inadempimento e danno.
In merito quest'ultimo punto si distinguono due teorie fondamentali sul nesso di causalità:
la teoria della condicio
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detta anche dell'equivalenza causale considera tutte le cause idonee a produrre un certo effetto. Di conseguenza il debitore potrebbe essere sempre responsabile dei danni subiti dal creditore poiché può aver messo in moto la prima delle condizioni, o delle cause, che hanno provocato il danno |
la teoria della causalità adeguata |
meno rigorosa dal punto di vista scientifico, ma più idonea dal punto di vista giuridico, questa teoria prende in considerazione come causa di un certo fatto solo quella che appare normalmente idonea a produrlo |
Tra le due teorie la più seguita dalla giurisprudenza, e da parte della
dottrina, è quella della causalità adeguata.
Il debitore, secondo quest'ultima tesi, non è responsabile dei danni subiti dal
creditore quando intervenga un fatto del tutto distinto e autonomo dal suo
inadempimento, che sia idoneo a produrre l'evento. In questi casi si avrebbe
quindi, un'interruzione del nesso di causalità e il debitore non sarebbe
responsabile per i danni subiti dal creditore.
Tale nuova causa potrebbe consistere nel fatto di un terzo, ma anche
nell'attività dello stesso creditore.
Accogliendo la teoria della causalità adeguata si afferma, in definitiva, che
non sono attribuibili al debitore i danni causati da fattori eccezionali, che,
per essere tali, sono anche imprevedibili.
Ragionando in tal modo, però, si
finisce col svuotare di significato la regola dell'art. 1225 che attribuisce al
debitore che agisce in dolo anche i danni imprevedibili, e ciò perché in presenza
di queste situazioni vi è interruzione del nesso di causalità che provoca sempre
la mancanza di responsabilità del debitore, che deve rimanere limitata solo alle
conseguenze che normalmente producono un certo danno, in definitiva a quelle
prevedibili.
Del problema se ne accorta la giurisprudenza che pure
accogliendo la teoria della causalità adeguata, riconosce
l'esistenza del nesso di causalità anche quando, secondo la teoria
dell'adeguatezza causale, questo andrebbe escluso, comprendendo fra i danni
provocati dal debitore anche fattori che possono considerarsi eccezionali.
Tornando alla quantificazione del risarcimento del danno, l'art. 1223 dispone
che deve comprendere sia la perdita subita e mancato guadagno.
Ma che s'intende per perdita subita e mancato guadagno?
I due concetti vengono anche indicati come danno emergente e lucro cessante
danno emergente, cioè la perdita subita | il danno emergente si quantifica secondo la perdita che ha subito il patrimonio del creditore dalla mancata, inesatta o ritardata prestazione del debitore |
lucro cessante, cioè il mancato guadagno | si fa riferimento ad una situazione futura, e non ad una presente come quella che abbiamo visto nel danno emergente. In questo caso si guarda alla ricchezza che il creditore non ha conseguito in seguito al mancato utilizzo della prestazione dovuta dal debitore. Trattandosi di evento futuro e solo prevedibile, per ottenere il risarcimento sarà necessaria una ragionevole certezza circa il suo accadimento |
Danno emergente lucro cessante individuano, quindi, due concetti diversi
anche dal punto di vista temporale in quanto il primo si è già prodotto mentre
il secondo, cioè il lucro cessante, deve ancora prodursi o, meglio, indica un
guadagno che si sarebbe prodotto se non vi fosse stato d'inadempimento del
debitore. Possiamo parlare di lucro cessante quando, ad esempio, il creditore
non riesca a ottenere un macchinario dal debitore. In questo caso il debitore
dovrà risarcire anche il mancato guadagno che il creditore avrebbe realizzato se
la macchina fosse stata fornita e utilizzata per la sua attività.
Nel lucro
cessante si è soliti includere la perdita di chance, cioè la perdita di
opportunità, la perdita di un occasione favorevole in seguito alla lesione
subita.
Si comprende come non sia facile dimostrare un danno del genere,
perché la chance, l’opportunità non significa che il danneggiato ha sicuramente
perso un guadagno futuro o una futura posizione favorevole, ma che probabilmente
ha subito tale perdita.
Si pensi a chi è stato ingiustamente escluso da un
concorso pubblico, che poteva vincere.
Può accadere, infine, che il danno sia stato anche cagionato per
l'attività colposa del creditore o dalla sua negligenza.
Questa ipotesi, tutt'altro che infrequente nella realtà, è disciplinata dall'articolo
1227 c.c.
secondo cui:
se il creditore colposamente ha contribuito a provocare il danno, il risarcimento dovuto dal debitore è diminuito secondo la gravità della colpa del creditore e delle conseguenze che ne sono derivate;
se il creditore, usando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto evitare il prodursi del danno, non avrà diritto al suo risarcimento.
Norme particolari sono previste per i danni provocati
dall'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie di cui siamo già occupati in
precedenza.
Possiamo ricordare brevemente che l'articolo 1224 c.c.
dispone che
al creditore sono dovuti a titolo di risarcimento del danno, gli interessi che
si sono maturati sulla somma dovuta dal giorno della mora, e questo è vero anche
quando il creditore non provi di aver subito alcun danno. Se però il creditore
ritiene aver subito un danno superiore alla misura gli interessi legali che gli
debbono essere corrisposti, dovrà provarne l'ammontare e, una volta raggiunta la
prova, gli spetterà l'ulteriore risarcimento oltre alla misura degli interessi
legali a lui dovuti.
Ricordiamo, infine, una sorta di norma di chiusura contenuta nell'art. 1226 del codice civile; si prevede la possibilità che nonostante l'accertamento del danno, non si riesca a provarlo nel suo preciso ammontare; in tal caso il giudice lo liquida secondo equità.
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