è un contratto che realizza un patto successorio
lecito stipulato tra un imprenditore, da un lato, e i suoi discendenti,
il coniuge e gli altri legittimari, dall'altro, con il quale lo stesso
imprenditore trasferisce in vita l'azienda a uno o più suoi discendenti
senza che il coniuge e gli altri legittimari possano, dopo la morte
dell'imprenditore,
rimettere in discussione il patto chiedendo la collazione o la riduzione
delle disposizione testamentarie
Nella nostra nozione abbiamo sintetizzato l'essenza del patto di
famiglia; ci siamo riferiti all'imprenditore che stipula il patto, ma in realtà,
il patto può essere stipulato anche da chi è titolare di partecipazioni sociali;
riferiamoci, però, al solo imprenditore per non complicare troppo il discorso.
Prima di entrare in dettagli tecnici, chiediamoci come mai il legislatore ha
deciso di introdurre tale patto, quale lo scopo che si è voluto realizzare.
Sappiamo che i patti successori
sono vietati (art. 458 c.c.), e ciò
sul, discutibile, presupposto che con tali patti si vincolerebbe la volontà di
un probabile testatore che deve comunque rimanere libera sino all'ultimo secondo
di vita; è noto, infatti, che il testamento è un atto sempre revocabile (art. 587
c.c.), e quindi non ci si può certo impegnare per una situazione giuridica che
prevede l'assoluta libertà del testatore.
Certo è, però, che alcune situazioni pratiche potrebbero rendere
certamente utile un patto successorio;
pensiamo, infatti, all'ipotesi del povero vecchietto con una casa di proprietà,
ma senza molti mezzi, che si accorda con un'altra persona in questi termini:
"quando morirò ti lascerò in eredità la mia casa, e fino a quel giorno tu mi
darai 400 euro al mese".
Si tratta di un patto istitutivo, che è nullo, ma è anche vero che il povero
vecchietto avrebbe avuto una somma per integrare la misera pensione sociale che
gli passa lo Stato italiano.
Vi potrebbe essere, però, un'altra situazione:
un imprenditore ha più figli, alcuni seri e lavoratori, e altri più allegri, e
sa che quando morirà, la sua impresa, frutto di tante fatiche e che magari aveva
ricevuto dal padre, andrà a tutti i suoi figli, e, per contrasti e litigi tra i
figli seri e quelli allegri, quasi sicuramente prenderà la strada del
fallimento.
Potrebbe, per rimediare alla situazione, effettuare delle donazioni in vita a
tutti i figli, dando, per es. un paio di appartamenti ai figli allegri, e
l'azienda a quelli seri, ma sappiamo che queste operazioni sono pericolose, sia
perché in caso di divisione dell'eredità, sarà necessario procedere alla
collazione, sia perché poterebbe ledere le quote che spettano ai
legittimari.
Proprio per venire incontro a questa necessità, ma non ad altre,
il legislatore ha previsto il patto di famiglia, che è in pratica un patto
successorio lecito, e ciò lo capiamo dal nuovo testo dell'art.
458 c.c. che esordisce con un "Fatto
salvo da quanto da quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti".
Avendo capito perché si fa il patto di famiglia, dobbiamo anche
vedere a quali condizioni questo può essere valido.
forma del contratto
atto pubblico a pena di nullità
parti contrattuali
imprenditore (o titolare di quote sociali)
da un lato
uno o più discendenti dell'imprenditore
e da un lato ancora
il coniuge dell'imprenditore e tutti coloro
che sarebbero legittimari al momento in cui è stato stipulato il
patto
Si tratta quindi di un contratto plurilaterale, volto a
provocare un consenso completo con tutti i futuri eredi dell'imprenditore ( o
del titolare di quote sociali).
Dobbiamo, però, considerare, che non sarebbe giusto un patto di famiglia, che
desse tutto ad alcuni figli dell'imprenditore, e praticamente niente agli altri
potenziali eredi e legittimari, ed è per questo motivo, che l'imprenditore nello
stipulare un tal patto, deve salvaguardare anche le posizioni di questi
ultimi;
il coniuge e i futuri legittimari, infatti, se non vi hanno rinunziato, devono
ricevere dagli assegnatari (cioè i figli che hanno ricevuto l'azienda), una
somma di denaro (o dei beni in natura) che corrisponda alle quote che a loro
spetterebbero ex art. 536 e ss. c.c., cioè le quote che gli spetterebbero in
quanto legittimari.
Questi beni sono loro assegnati come quota di legittima, cioè come quella quota
che a loro spetterebbe come legittimari, e ciò per tacitare da subito possibili
future contestazioni, tanto che una volta stipulato il contratto, le
assegnazioni ricevute non possono essere oggetto di collazione o riduzione.
Potrebbe accadere che gli altri assegnatari si rifiutino di
ricevere subito i beni o il danaro che loro spetta, ma in tal caso l'art.
768 quater c.c. dispone che l'assegnazione può essere effettuata anche con un
successivo contratto, ma collegato al primo, sempre che partecipino gli stessi
che hanno partecipato al primo, o coloro che li hanno sostituiti.
Andiamo ora a verificare dal punto di vista della
validità, cosa accade se non si seguono le prescrizioni cui ci siamo
riferiti
Sappiamo della nullità dell'atto se non è stipulato per atto
pubblico, ma potrebbe accadere che all'atto stesso non partecipino tutti coloro
che ne hanno diritto ex art. 768 quater; vediamo le conseguenze.
mancata partecipazione alla stipula del contratto del
coniuge e\o dei legittimari
se gli assegnatari non liquidano loro le somme che gli
spettano il patto è annullabile entro un anno dall'apertura della
successione
vizi del consenso
è possibile chiedere l'annullamento del patto entro un
anno dalla sua stipula
Si nota subito che il termine per chiedere l'annullamento del
patto è di un solo anno, e non di cinque, come accade di regola, ma ciò che più
conta è che la mancata partecipazione del coniuge e dei legittimari non comporta
la nullità del patto, ma la conseguenza meno grave della annullabilità,
conseguenza comunque evitabile con la corresponsione a tali soggetti di quanto
gli spetta.
Ricordiamo, infine, che il patto può essere sciolto o modificato
dagli stessi che l'hanno stipulato, o mediante un nuovo contratto, o con un
recesso, solo, però, se previsto nel patto e certificato da un notaio (art. 768
septies c.c.).
Le eventuali controversie che scaturiscono dal patto, non
possono essere decise dal tribunale, ma da organismi di conciliazione (art. 768
octies c.c.).
Ci si potrebbe chiedere perché le controversie non debbano essere decise dal
tribunale, in fondo si tratta pur sempre di contratto;
la risposta è più empirica che giuridica.
È noto infatti che le cause ereditarie, come sarebbe in sostanza questa, durano
talmente tanto tempo, che spesso gli stessi eredi che l'avevano instaurata
muoiono prima della sentenza. Affidando la cosa a detti organismi di
conciliazione si tenta di rendere più rapida la tutela.