Nozione |
è la situazione in cui un soggetto si comporta come rappresentante di un’altra persona, senza però averne il potere, ma il modo con cui esercita quest’attività e la colpa del falsamente rappresentato, ingenerano nei terzi ignari della realtà, il ragionevole affidamento circa l’esistenza della rappresentanza, vincolando così il rappresentato apparente all’attività compiuta in suo nome dal rappresentante apparente |
Abbiamo visto i casi della falsa
rappresentanza e abbiamo anche visto che il falsamente rappresentato non è
vincolato agli atti compiuti dal falso rappresentante, che quindi non possono
essergli opposti, salvo che non decida di ratificarli. La situazione che
nasce dalla rappresentanza apparente è quindi la stessa, e le conseguenze, si
potrebbe pensare, non potrebbero essere diverse dal caso del falso
rappresentante.
Tuttavia la giurisprudenza ha preso in considerazione un caso particolare di
falsa rappresentanza, non regolato dal codice civile, dove è vero che non c’è
stata procura, ma è anche vero che non solo un soggetto ha agito come falso
rappresentate, ma è anche accaduto che l’interessato, il falsamente
rappresentato, si è comportato in modo tale da far ragionevolmente credere ai
terzi che chi agiva per lui fosse per davvero il suo rappresentante.
Il rappresentato apparente, quindi, agisce colposamente, perché di fronte
all’uso del suo nome da parte del rappresentante apparente, non interviene per
render chiaro che non ha conferito alcun potere di rappresentanza, tanto da
ingenerare nei terzi la ragionevole convinzione che il potere rappresentativo
esista per davvero.
Il più delle volte questo comportamento colposo si traduce nella tolleranza del
rappresentato apparente nei confronti dell’attività del rappresentante
apparente, come nel caso del proprietario di un bar che avendo ceduto l’attività
a un suo dipendente, cedendo anche la ditta, non renda noto ai terzi, (con mezzi
idonei l’avvenuta cessione, e non iscrivendo il relativo contratto di cessione
di azienda nel registro delle imprese), che il bar è stato ceduto, mentre il
rappresentante apparente, ex dipendente e nuovo titolare, continua ad agire a
suo nome.
È facile capire che un comportamento siffatto genera nei terzi il ragionevole
affidamento che titolare del bar sia sempre il vecchio titolare, mentre
rappresentante sia il suo ex dipendente, in realtà nuovo titolare del bar.
Con questa figura, quindi, la finzione prevale sulla realtà e il rappresentato
apparente dovrà quindi onorare gli impegni assunti dal suo rappresentante
apparente.
La rappresentanza apparente si caratterizza, quindi, per due elementi:
a) che l’apparenza sia
riconducibile alla condotta del falsamente rappresentato;
b) che i terzi abbiano in buona fede ritenuto che tale apparenza corrispondesse
a una situazione reale.
Sui terzi che confidano
sull’effettiva esistenza del potere rappresentativo, è necessario, però, fare
una precisazione. Qui non basta la sola buona fede (soggettiva) del terzo.
Spieghiamoci.
È chiaro che il terzo non potrà mai essere tutelato quando sa che chi agisce in
nome e per conto altrui non è il vero rappresentate, e quindi deve trovarsi in
situazione di buona fede soggettiva, ma è anche vero che solo questa buona fede
non basta.
Posto che il terzo non era conoscenza della situazione reale, non sarà tutelato
quando poteva accorgersi, usando l’ordinaria diligenza, dell’inesistenza della
rappresentanza. Nell’esempio fatto della cessione del bar, non si potrà invocare
la rappresentanza apparente, quando il vecchio titolare del bar aveva provveduto
a iscrivere il contratto di cessione di azienda nel registro delle imprese.
L’apparenza non è un principio estraneo al nostro ordinamento.
Abbiamo, infatti, il caso
dell’erede apparente, ex art. 534 comma 2 c.c. che fa salvi gli acquisti
effettuati da terzi in buona fede dall’erede apparente, oppure il famoso
principio ex art. 1153 c.c. o, ancora, l’art. 1189 comma 1 c.c. in merito
all’effetto liberatorio del pagamento effettuato al creditore apparente, o,
infine dalla stessa regola stabilita in tema di rappresentanza dall’art. 1396
comma 2, in merito alla revoca della procura.
Sappiamo, infatti, che quando si revoca o modifica la procura, e tali attività
non sono portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, il rappresentato
(diventato rappresentato apparente) non può opporre a tali terzi tali fatti,
salvo che provi che ne erano comunque a conoscenza.
Certe applicazioni giurisprudenziali del principio dell’apparenza lasciano però
perplessi, come nel caso del fallimento del socio apparente o della società
apparente.
Si verifica tale situazione quando ci si comporta come socio di una società,
mentre in realtà non se ne fa parte (vedi ad. es. Cass. civ., Sez. I,
26/09/2003, n. 14338), oppure quando si tiene un comportamento atto ad
ingenerare il convincimento incolpevole, nei terzi, della sussistenza di un
vincolo sociale di una società di persone (Cass. civ., Sez. I, 14/02/2001, n.
2095). Anche qui esiste certamente un affidamento da tutelare e la colpa dei
soci apparenti, ma poiché una società ha relazione che diversi soggetti,
accadrebbe che il socio apparente (o la società apparente) possa fallire solo
per quei terzi che in buona fede non si erano accorti dell’apparenza, mentre non
potrebbe fallire per gli altri terzi che in realtà sapevano la verità. Una
conclusione, quindi, difficile da accettare.
Giurisprudenza Le principali caratteristiche della
rappresentanza apparente, la buona fede del terzo e il comportamento
colposo del rappresentato apparente idoneo a ingenerare
l’affidamento del terzo.
Cass. civ. Sez. III, 27-01-2015, n. 1451 Cass. civ.
Sez. II, 09-03-2012, n. 3787 In maniera ancora più analitica questa
sentenza individua i requisiti della rappresentanza apparente.
Cass. civ. Sez. III, 24-11-2003, n. 17835
Il pagamento effettuato al
rappresentante apparente del creditore libera il debitore? Sì, ma a
certe condizioni che poi sono quelle dell’opponibilità
dell’apparenza.
Cass. civ. Sez. II, 11-09-2013, n. 20847 |
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