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Seguendo
lo schema innovativo di questo manuale, invece di trattare in un volume separato
i principi e le regole generali del processo, si è scelto di illustrarli e
richiamarli quando servono.
I principi che sono collegati all’atto di
citazione, sono molti e fondamentali, e dal punto di vista strettamente teorico,
osserviamo che con l’atto di citazione (ma anche con il ricorso) l’attore
esercita, il potere di azione, potere che è riconosciuto e protetto dall’art. 24
della Costituzione che al primo comma così recita: ”
Tutti possono agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.
Che cos’è il potere di azione? Abbiamo in proposito 5
teorie.
Le prime due sono dette “moniste”
giacché ritengono che il fenomeno dell’azione e quello del diritto sostanziale
si fondino in una medesima figura giuridica.
Secondo una teoria, infatti, l’azione non
sarebbe altro che un potere di fatto, una proiezione del diritto sostanziale.
Secondo un'altra teoria sarebbe rilevante per il diritto soltanto l'azione,
mentre prima di questa non esisterebbero che meri rapporti di fatto. Entrambe
queste teorie, che fondono il diritto sostanziale e l’azione non sono
sostenibili alla luce della Costituzione.
È
vero, infatti, che potere di azione e diritto sostanziale sono fenomeni
separati.
A questa conclusione, e cioè che l'azione è un potere
autonomo dal diritto sostanziale, sono giunti ormai diversi autori, e una
conferma la troviamo nell’art. 24 della Costituzione che riconosce l’autonomia
del diritto di azione dal diritto sostanziale, anche se correlato a
quest’ultimo.
Vi è ormai accordo sull’autonomia del potere di azione,
ma non vi è accordo, invece, sulla natura di tale potere, e per individuarla vi
sono altre tre teorie.
Per la seconda teoria
(l'azione
come potere di ottenere un provvedimento giudiziale nel merito)
l'azione è il potere a ottenere un provvedimento di merito, favorevole o
sfavorevole che sia, che può essere esercitato quando il soggetto che agisce
dichiari, affermi, di essere titolare del diritto sostanziale. Condizioni
dell'azione, per questa seconda teoria sono l'interesse ad agire e la
legittimazione ad agire, cioè la (affermata) lesione e l'affermazione della
titolarità del diritto sostanziale.
Secondo la terza teoria (l'azione
come un diritto a ottenere un provvedimento favorevole)
l'azione è, appunto, il potere della parte volto a ottenere un
provvedimento giudiziale favorevole e quindi tale potere sorge quando il diritto
vantato sia esistente sin dal momento della proposizione della domanda (e che
quindi non sia solo affermato); condizioni dell'azione, per questa teoria sono:
l'interesse ad agire, la legittimazione ad agire e, in più, l'esistenza del
diritto.
Da un’analisi della disciplina del codice di rito,
scopriamo che tutte e tre le teorie sono accettate nel nostro ordinamento, senza
che questo provochi particolari contraddizioni o problemi applicativi.
4. Le condizioni dell’azione.
Per agire in giudizio è necessario che l’attore si trovi
in una situazione tale che gli permetta di giungere, almeno, a un provvedimento
che gli possa essere effettivamente utile, un provvedimento, che riesca almeno a
entrare nel merito della questione da lui proposta.
In quest’ottica, che è conforme alla seconda teoria che
vede l’azione come il diritto a ottenere un provvedimento sul merito, le
condizioni dell’azione sono due:
La legittimazione ad agire si basa sull’affermazione
della titolarità del diritto dell’attore contenuta nell’atto introduttivo del
giudizio, la citazione, nel nostro caso.
Parliamo di affermazione e non di titolarità del diritto,
perché tale situazione potrà accertarsi alla fine del processo, e quindi non può
essere considerata, da quest’ottica, una condizione, un qualcosa che deve
preesistere all’azione. Se, per ipotesi, l’attore agisse dichiaratamente per un
diritto non suo, il giudice gli rigetterebbe la domanda per mancanza di
legittimazione ad agire, e non entrerebbe nel merito della domanda.
Notiamo che si parla di legittimazione attiva, riferita
all’attore, e legittimazione passiva riferita al convenuto, quest’ultima come
affermazione che la domanda è rivolta contro colui che ha leso la posizione di
fatto e giuridica dell’attore.
Potrebbe comunque accadere che nel corso del processo si
scopra che il soggetto chiamato in giudizio non sia il vero legittimato passivo,
rendendo inutile l’azione proposta.
L’interesse ad agire è richiamato
dall’art. 100 del codice di rito, secondo cui: ”Per
proporre domanda o per contraddire ad essa è necessario avervi interesse”.
Ci chiediamo: da cosa nasce questo interesse?
Rispondiamo: dalla lesione del diritto dell’attore, o meglio dall’affermata
lesione del diritto dell’attore. È chiaro che se l’attore andasse davanti al
giudice senza lamentare nulla, questi gli rigetterebbe la domanda per mancanza
d’interesse ad agire.
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