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violenza
La violenza di cui parliamo è
una forma di coazione della volontà che menoma la libertà di determinazione;
è causa di annullabilità del negozio, sia che provenga dall'altra parte del
negozio sia che provenga da un terzo.
Potrebbe sembrare strano che conseguenza della
violenza sia l'annullabilità e non la nullità; è facile pensare, infatti,
che chi è minacciato non vuole concludere il negozio, ma, a ben guardare, si
scopre che il soggetto minacciato vuole la conclusione del negozio perché
tra lo svantaggio che subirebbe dalla attuazione della minaccia e quello
della conclusione del negozio "sceglie" e quindi vuole il male minore, cioè
la conclusione del negozio.
Esistendo una volontà, per quanto viziata, si
spiega l'annullabilità.
Diversamente accadrebbe se la violenza non fosse
morale, ma fisica volta ad ottenere meccanicamente la dichiarazione
negoziale, come nel caso , per la verità un po' improbabile, in cui si
trascini la mano del contraente per far apporre una firma in calce ad un
contratto; in questo caso vi sarà nullità del negozio e non annullabilità
perché manca la volontà. Abbiamo quindi:
Come anche si evince dalla nozione, non tutti i tipi di violenza sono causa d'invalidità; per giungere a questa conseguenza la violenza deve rivestire certe caratteristiche, il male minacciato deve essere ingiusto e notevole (art. 1435 c.c.) Chiariamo questi due punti:
Come abbiamo già accennato la violenza è causa di annullabilità pure se proveniente da un terzo ed anche nel caso in cui la controparte ne fosse all'oscuro. Vediamo, però, se è vero l'opposto, se cioè la minaccia rivolta ad un terzo è anch'essa causa di annullabilità. Ci risponde l'art. 1436 c.c. che distingue due categorie di terzi:
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