Qui tutti i lavori giuridici di Claudio Mellone
struttura dell'atto illecito
Riportiamo ancora una volta l'art. 2043 per poterlo meglio analizzare; leggendolo con attenzione ci accorgiamo che possiamo individuare la struttura stessa dell'atto illecito che individuiamo in:
Il fatto doloso o colposo è un atto umano proprio
perché rileva l'elemento psicologico, il dolo o la colpa. Questo elemento
psicologico è tradizionalmente denominato "colpevolezza".
Accade, però, che per aversi responsabilità non basta che vi sia la
colpevolezza, ma è anche necessario che il soggetto agente sia imputabile e
cioè, secondo l'art. 2046 c.c., è necessario che sia capace di intendere e di
volere. Mancando la capacità di intendere e di volere può anche esservi dolo o
colpa (anche un minore di 1o anni può volere o meno un fatto), ma non ci sarà
responsabilità dell'agente; questo non vuol dire che non sarà mai nessun
soggetto che risponda dei danni (v. art. 2047 c.c.); ne parleremo più avanti in
occasione dei casi di esclusione della responsabilità.
Consideriamo, ora, il nesso di causalità.
L'atto deve cagionare un danno. Ciò vuol dire che tra atto e danno deve esserci
un legame di causa ed effetto, un nesso di causalità giuridicamente rilevante.
Il problema che si riferisce al nesso di causalità non è tanto fisico ma
giuridico. È noto, infatti, che un atto può causare una serie indefinita di
eventi.
Nel caso di un sinistro stradale, il comportamento colposo dell'automobilista
può provocare il danneggiamento di un altro veicolo, ma anche, in seguito a
questo, un ingorgo stradale, e, magari, a causa di questo ingorgo,
un’autoambulanza che trasportava un malato grave giunge troppo tardi
all'ospedale. Dal punto di vista del rapporto causa, effetto, la morte
dell'ammalato è stata provocata dal sinistro stradale e l'automobilista è
responsabile anche di questo decesso. A noi interessa, tuttavia, il concetto
giuridico di nesso di causalità, al fine di non estendere la responsabilità a
tutti gli eventi possibili.
Ci viene in soccorso l'art. 2056 c.c. che nella valutazione dei danni richiama
l'art. 1223 c.c. secondo cui sono risarcibili i danni che siano conseguenze
"immediate e dirette" dell'atto. In dottrina, però, si tende a interpretare
l'art. 1223 nell'ottica della teoria della causalità adeguata che prende in
considerazione come causa di un certo fatto solo quella che appare normalmente
idonea a produrlo, escludendo, quindi, quegli eventi sopravvenuti che possono
considerarsi eccezionali. In tal modo si è ricorsi a un concetto giuridico di
causalità che sostituisce quello fisico fatto proprio, invece, dalla teoria
della conditio sine qua non, di cui ci occuperemo in occasione dello studio del
risarcimento del danno di natura contrattuale.
Chiudiamo i discorso con l'antigiuridicità.
Il danno, secondo, l'art. 2043 deve essere "ingiusto".
Per ingiustizia del danno s'intende la sua "antigiuridicità" cioè la sua
capacità di provocare la lesione di un diritto. Proprio su questo punto, però,
si è incentrato il dibattito dottrinario; da un’iniziale posizione che riteneva
ingiusto solo il danno che provocava una lesione di diritti soggettivi assoluti,
si è passati, grazie ad una lenta evoluzione dottrinale, ad ammettere
l'ingiustizia del danno anche nel caso di diritti relativi, come i diritti di
credito, sino ad arrivare alla posizione che giunge a ritenere antigiuridico
qualsiasi danno provocato ad un interesse giuridicamente tutelato, dai diritti
soggettivi agli interessi legittimi, alla libertà negoziale, all'ambiente, alla
tutela extracontrattuale del credito per i danni provocati da terzi.
Proprio in riferimento agli interessi legittimi
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