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scioglimento della comunione
La comunione si
scioglie con la divisione. Sul punto è chiaro l'art. 1111 c.c. secondo cui
ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della
comunione.
Se, quindi, uno dei partecipanti decide di sciogliere
la comunione, gli altri non possono impedirlo. Il diritto alla divisione si
configura, quindi, come vero e proprio diritto potestativo proprio perché
gli altri comunisti non possono far altro che subire la decisione presa.
Per evitare, però, che la comunione sia sciolta poco
dopo la sua costituzione, i comunisti possono stipulare un patto per
rimanere in comunione per un tempo determinato. Tale patto, tuttavia, non
può avere durata superiore a dieci anni; nel caso sia stato stipulato per un
periodo superiore non sarà invalido, ma il termine originariamente stabilito
si riduce a dieci anni.
Deciso di comune accordo o con l'intervento del giudice
di sciogliere la comunione si dovrà procedere alla divisione della cosa.
Questa ha luogo in natura (art. 1114 c.c.) ma solo se
la cosa può essere comodamente divisa in parti secondo le quote dei
partecipanti. La divisione in natura è quindi possibile solo se la cosa è
divisibile, ma se la cosa è indivisibile sarà necessario applicare l'art.
720 c.c. con la possibile vendita del bene immobile e ripartizione del
ricavato. Il richiamo all'art. 720 non è casuale perché l'art. 1116 dichiara
applicabili alla divisione le norme sulla divisione ereditaria (artt. 713 e
ss.), norme di cui fa parte il citato articolo 720.
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