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responsabilità per l'esercizio delle attività pericolose
In merito alla prova liberatoria
si ritiene che l'esercente
dell’attività pericolosa debba dimostrare di aver preso tutte le misure che,
secondo un criterio di diligenza professionale, siano idonee a evitare il
danno.
Si preferisce, quindi, un’interpretazione non
letterale della norma perché se si richiedesse all'esercente dell’attività
di prendere "tutte le misure" idonee a evitare il danno, il suo verificarsi
dimostrerebbe che qualche misura non è poi stata presa.
Secondo parte della dottrina, però, la prova
liberatoria consisterebbe nella dimostrazione della mancanza del nesso di
causalità tra attività pericolosa e danno, tesi che lascia perplessi poiché
l'interruzione del rapporto causale tra attività pericolosa ed evento
esclude comunque la responsabilità, ed è una circostanza che, se ricorre,
rende inutile l'accertamento sull’idoneità e sufficienza delle misure
adottate.
Ricordiamo, infine, che l'art. 2050 si applica se
non vi sono altre norme contenute nello stesso codice o in leggi speciali
che disciplinano la responsabilità per determinate attività che possono
essere considerate pericolose. Pensiamo, ad esempio all’attività medico
chirurgica che trova la sua disciplina, un merito alla responsabilità,
nell'art. 2236 c.c. Questo articolo, al dire il vero, si applica a qualsiasi
professionista anche se non svolge attività pericolosa, come l'avvocato, ma
è anche vero che per la specificità della previsione legislativa
(responsabilità del prestatore d'opera) l'art. 2236 trova applicazione al
posto del più generale articolo 2050, senza che sia possibile una
applicazione concorrente delle due norme.
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