In questo senso il termine più adatto è
«mezzo di prova» che più rende l’idea dell’attività svolta, ma è necessario
avvertire che la stessa terminologia del codice non è univoca, poiché con il
termine prova s’intende anche il giudizio o, a volte, il risultato
probatorio raggiunto. Per semplicità espositiva useremo il termine “prova”
in maniera volutamente generica, per indicare, cioè, i diversi significati
attribuiti. Un fatto per essere posto a fondamento della decisione del
giudice deve essere, ovviamente, provato. Ma a chi spetta l’onere di dover
provare i fatti di causa?
Ci soccorre l’art. 2697 c.c. che divide equamente l’onere
della prova tra attore e convenuto. Vediamo, quindi, come l’art. 2697 c.c.
distribuisce l’onere della prova tra le parti, cioè tra attore e convenuto.
Regola di giudizio fondata sull'onere della prova:
Le prove possono essere distinte in
molte categorie, ma possiamo individuarne due fondamentali:
1. Le prove precostituite; 2. Le prove costituende.
Le prime sono quelle che, di solito, si formano prima del
processo, nel senso che acquistano l’attitudine a rappresentare i fatti di
causa prima che inizi il giudizio. Le seconde, invece, si formano durante e
nel processo.
Con riferimento al modo di valutazione delle prove, il codice
ha previsto all’art 116 c.p.c. primo comma, due tipi di prove: la prova
libera e la prova legale.
La prova libera
è valutata dal giudice secondo il suo “prudente
apprezzamento”, cioè secondo la sua esperienza di uomo e di giurista.
La prova legale
è invece valutata dal legislatore, e non lascia margini di valutazione
discrezionale da parte del giudice. Tipica prova libera è la testimonianza,
dove il giudice può credere o meno al testimone. Tipica prova legale è il
giuramento, dove il giudice non può valutare diversamente quanto dichiarato
dalla parte. Hanno minore efficacia probatoria gli argomenti di prova e gli
indizi, che possono costituire l’elemento fondamentale per le presunzioni
semplici.
Gli argomenti di
prova sono i comportamenti processuali delle
parti. Da soli non possono fondare il convincimento del giudice, ma possono
costituire degli ulteriori mezzi per interpretare le prove già acquisite nel
processo. Esempi di comportamenti delle parti valutabili come argomenti di
prova sono le mancate risposte in sede d’interrogatorio libero, il rifiuto
di consentire ispezioni ordinate dal giudice, il contegno tenuto dalle parti
durante l’assunzione della prova testimoniale.
Non è invece pacifica l’esatta collocazione degli
indizi.
Si ritiene, infatti, l’indizio un elemento di prova minore,
insufficiente da solo a fondare il convincimento del giudice, tanto da dover
essere «rafforzato» da ulteriori indizi che, tutti insieme e “gravi,
precisi e concordanti” possono determinare il
comportamento del giudice, sempre che non siano contraddetti da prove di
rango superiore.
È per questo motivo che l’indizio viene a volte
parificato agli argomenti di prova ed altre volte alle presunzioni in senso
stretto. Vengono, infine considerati i fatti notori, quei fatti che non
hanno bisogno di essere provati perché facenti parte dell’esperienza di una
comunità, come ad es. un terremoto.
Torna alla pagina iniziale del manuale