Claudio Mellone, Manuale di Diritto Privato
Qui tutti i lavori giuridici di Claudio Mellone

incapacità d'intendere e di volere

 
 

·         Nozione: l'art. 2046 del codice civile esclude la responsabilità di chi al momento della commissione del fatto non era capace di intendere o di volere, a meno che l'incapacità non derivi da sua colpa.

Abbiamo già accennato all’incapacità come causa di esclusione di responsabilità; più precisamente abbiamo affermato che per aversi responsabilità è necessario che l'autore dell'atto sia imputabile, sia, cioè, capace d'intendere o di volere. È da notare, però, che colpevolezza e imputabilità non sono concetti coincidenti. Per colpevolezza, infatti, intendiamo l'atteggiamento doloso o colposo dell'agente, mentre l'imputabilità è la capacità d'intendere e di volere.

Dobbiamo però avvertire che il concetto di colpevolezza, che qui riportiamo, è quello tipico del diritto privato, ma non è anche quello della più recente dottrina penalistica, che identifica, nell'ambito della concezione tripartita del reato, la colpevolezza come "rimproverabilità" del fatto al suo autore. In quest’ottica l'imputabilità costituisce il presupposto proprio di questa "rimproverabilità", poiché non è rimproverabile chi non è anche imputabile. In ogni caso il fondamento dell’esclusione della responsabilità non si ritrova nella mancanza di colpevolezza (cioè del dolo o della colpa) dell'incapace, ma nell’esigenza di tutelarlo poiché non è in grado di comprendere la rilevanza sociale negativa degli atti che compie. Per incapacità di intendere e di volere s’intende, quindi, l'inidoneità psichica della persona che non è in grado di comprendere la rilevanza sociale negativa degli atti che compie.
Ai fini dell’esclusione della responsabilità non deve però accadere che la persona si sia posta nello stato di incapacità per dolo o colpa, come nel caso di chi si ubriaca e poi si pone alla guida di un veicolo provocando un sinistro; in tal caso non servirà invocare il proprio stato di incapacità per andare esenti da responsabilità.
Altra questione riguarda il minore degli anni 14. Secondo l'art. 97 c.p. non è imputabile il minore degli anni 14; nel codice civile, però, non è riprodotta questa norma e quindi il minore di quattordici anni può anche essere imputabile se risulta che era comunque in grado di comprendere la rilevanza sociale negativa dell'atto compiuto. D'altro canto non bisogna confondere i casi di cui stiamo parlando con la mancanza di capacità di agire del minore di cui all'art. 2 c.c. Qui, infatti, ci riferiamo agli atti illeciti, mentre nel caso dell'art. 2 si fa riferimento agli atti leciti compiuti dal minore, come i contratti; in questi casi l'atto sarà annullabile ex. art. 1425 c.c. come anche accade nelle ipotesi previste dall'artt. 427 e 428 c.c.

Torna alla pagina iniziale del manuale