Qui tutti i lavori giuridici di Claudio Mellone
condominio negli edifici
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Nozione (art. 1117
c.c.): è una forma di comunione in proprietà forzosa di parti comuni di un
edificio.
Come abbiamo visto la
comunione può costituirsi per volontà dei partecipanti, ma in alcuni casi il
legislatore ha scelto di rendere obbligatoria la comunione.
Ora ci occupiamo del condominio negli edifici; anche in
questa ipotesi si parla pur sempre di comunione, ma di comunione forzosa,
indivisibile e irrinunciabile che ha ad oggetto il solo diritto di
proprietà. Per questo tipo di comunione è prevista una disciplina specifica
che si aggiunge, e a volte sostituisce, le regole previste per la comunione
ordinaria.
La materia è stata oggetto di riforma ex l. 220\2012 in
vigore dal 18\06\2013, che ha praticamente riscritto l’originario testo del
codice, apportandovi numerose novità; non perderemo tempo a fare il
raffronto tra la vecchia e la nuova normativa, ricordando che le regole sul
condominio sono riportate non solo negli articoli 1117 e ss. del codice, ma
anche nelle disposizioni di attuazione al codice civile artt. 61-72, dove
sono regolati minuziosamente altri aspetti del condominio. Per tutto quello
non previsto dalla disciplina specifica sul condominio, si applicheranno le
regole sulla comunione in generale (art. 1139).
Per esserci condominio è necessario che vi siano delle
parti di un edificio in comproprietà (forzosa) di più soggetti, e allora le
questioni da risolvere sono due:
a) chi sono i comproprietari;
b) su quali parti di una costruzione si estende il
codominio.
Rispondiamo alla prima domanda: sono condomini i
proprietari di singole unità immobiliari; quindi se si possiede un
appartamento in un palazzo, si sarà automaticamente condomino.
Abbiamo, allora, una proprietà solitaria (il piano o la
porzione di piano) cui si aggiunge la comproprietà sulle parti comuni.
Fin qui nulla di strano e di nuovo, ma sono considerati
condomini anche i proprietari che sulla unità immobiliare (l’appartamento
del nostro esempio) hanno un “godimento periodico”. Il riferimento è alla
multiproprietà, che l’art. 1117 riconosce perché parla di proprietari a
godimento periodico, ponendo, forse, la parola fine ai contrasti sulla
qualificazione giuridica di questo istituto, definendola come proprietà, o
meglio come “proprietà a godimento periodico”.
Risolto questo problema, passiamo alla seconda
questione, e cioè: su quali parti di una costruzione si estende il
codominio?
L’art. 1117 elenca minuziosamente tali parti comuni,
un’operazione che dovremmo ripetere anche noi, per l’importanza della
questione; sono, quindi oggetto di proprietà comune, e quindi in condominio:
1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso
comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri
maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le
scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili
e le facciate;
2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i
servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la
lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche
strutturali e funzionali, all'uso comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque
genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne,
gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di
trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il
condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso
a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via
cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di
proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti
unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di
settore in materia di reti pubbliche.
Sono queste, quindi, le parti
comuni, ma ciò accade se non risulta diversamente dal titolo; sarà quindi
possibile che alcune parti che si presumono comuni, siano attribuite in
proprietà solitaria a una sola persona, ma, d'altro canto, non possono
essere attribuite al singolo proprietario alcune parti dell'edificio come le
fondazioni o i muri perimetrali.
Si tratta di parti dell'edificio che per la loro
funzione sono necessariamente condominiali.
Potrebbe anche stabilirsi, con il consenso di
tutti i condomini, di dividere le parti comuni, cioè creare una serie di
proprietà solitarie, ma a condizione che la divisione non renda più incomodo
l’uso della cosa a ciascun condomino (art. 1119).
Com’è noto a tutti, o quasi, le disposizioni sul
codominio si applicano ai fabbricati dove le proprietà sono divise in senso
verticale, cioè ai fabbricati multipiano, relativamente alle parti comuni di
questi, ma l’art. 1117 bis dispone che la disciplina sul condominio si
applica, in quanto compatibile :”in
tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più
condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi
dell'articolo
Molte aree comuni condominiali hanno una
determinata destinazione d’uso, prendiamo ad esempio le aree di parcheggio o
i locali di portineria o lavanderia.
È possibile cambiare la destinazione d’uso di tali
aree per soddisfare interessi condominiali? È possibile, ad esempio,
trasformare un’area di parcheggio in un bel giardino perché i condomini,
stufi del fumo e del rumore delle autovetture, hanno pensato di respirare un
po’ di più nei cortili?
Sì, l’art. 1117 ter ha previsto modalità e
maggioranze necessarie per giungere a tali cambi di destinazione d’uso.
D’altro canto nemmeno con le maggioranze ex art. 1117 ter si potrà giungere
a modificare la vecchia destinazione d’uso con una nuova destinazione che
possa recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o
che ne alteri il decoro architettonico.
Può accadere, però, che il nuovo uso preveda anche
lo svolgimento di un’attività, per es. parte dello spazio dei cortili
dell’edificio è data in locazione per permettere un’attività di parcheggio
di auto per soggetti estranei ai condomini; in tal caso l’attività non deve
svolgersi in modo da incidere negativamente, e in modo sostanziale, sull’uso
delle parti comuni, tanto che l’amministratore o anche i singoli condomini
possono diffidare l’esecutore, e chiedere anche la convocazione
dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni
giudiziarie. L’assemblea potrà anche decidere di far cessare tali attività.
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