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clausole vessatorie nel codice del consumo
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La parte
terza del codice è dedicata al rapporto di consumo e qui si considerano gli
aspetti che il legislatore ha considerato essenziali a tale rapporto; in
primo luogo al titolo I ci si occupa delle clausole vessatorie con una
disciplina che si applica a tutti i contratti conclusi con i consumatori.
Seguono poi al titolo II le regole relative
all'esercizio dell'attività commerciale ed, infine, al titolo III le
disposizioni relative a particolari tipi di contratti, mentre al titolo IV
sono trattati i modi di erogazione dei servizi pubblici di cui ci siamo già
occupati all'inizio della sezione.
Le clausole vessatorie sono disciplinate agli artt.
33\37 del codice.
L'art. 33 definisce vessatorie nei contratti tra
consumatore e professionista
le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del
consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi
derivanti dal contratto.
L'art. 34 illustra, invece, le
regole fondamentali per l'accertamento della vessatorietà delle clausole.
Quando non sia la legge stessa a definire vessatoria
una clausola, il giudice dovrà valutarne la vessatorietà tenendo conto della
natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento
alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione e alle altre
clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende.
Ciò non vuol dire che il giudice debba valutare
l'equilibrio economico delle prestazioni o decidere circa la determinazione
dell'oggetto del contratto (qui probabilmente inteso come prestazione),
poiché se così fosse si violerebbe l'autonomia contrattuale delle parti. In
altre parole lo squilibrio che si vuole evitare è giuridico e non economico.
Approfondendo il nostro discorso sulle clausole
vessatorie scopriamo che il legislatore ne ha individuate tre tipi:
Questa suddivisione che abbiamo
fatto è particolarmente importante per stabilire la validità delle clausole
vessatorie e a chi spetti l'onere della prova in merito alla loro validità.
Per quelle indicate alla lettera a) l'onere della prova
circa la loro vessatorietà spetterà a chi la invoca secondo le regole
generali, al consumatore, quindi.
Per quelle della lettera b) essendovi una presunzione
relativa, l'onere della prova circa la loro non vessatorietà spetterà al
professionista, mentre il consumatore potrà semplicemente invocarle in base
alla previsione dell'art. 33. Per quelle della lettera c) non sarà possibile
fornire prova contraria e il giudice dovrà solo verificarne l'esistenza.
Ricordiamo, però, che nel contratto concluso mediante
sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera
uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sempre sul
professionista l’onere di provare che le clausole, o gli elementi di
clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano
stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.
Ma in che cosa consiste la prova contraria?
Ci risponde il comma 4 dell'art. 34 secondo cui:” Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano
stati oggetto di trattativa individuale”.
Se non si riesce a provare l'esistenza della
trattativa individuale (e questa prova incomberà sempre sul professionista)
la clausola sarà considerata vessatoria o perché crea uno squilibrio
giuridico tra le parti o perché è oggetto di presunzione ex art. 33 con
l'inevitabile conseguenza della nullità della clausola. La prova della
trattativa individuale è invece inutile nelle ipotesi dell'art. 36 dove le
clausole sono sempre considerate nulle, siano state o meno oggetto di
trattativa individuale. La nullità opera soltanto a vantaggio del
consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. La nullità, inoltre
colpisce solo le clausole, mentre il resto del contratto resta valido.
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