Le fonti del diritto penale, il principio di
legalità e l’irretroattività della legge penale
Fonti del diritto sono la costituzione, la legge e gli atti
a essa equiparati (decreti legge e legislativi), i regolamenti e la
consuetudine.
Attualmente dobbiamo anche considerare le fonti dell’Unione
Europea, cioè i trattati, i regolamenti e le direttive.
Non dobbiamo, in questa sede, occuparci della tematica
delle fonti del diritto ( del resto ampiamente trattata nel manuale di
diritto costituzionale su
www.dirittoprivatoinrete.it) ma quali siano le fonti cui far
riferimento per il diritto penale.
Cominciamo con
Questo articolo deve essere letto in relazione all’art. 1
del codice penale: “Reati e pene:
disposizione espressa di legge. Nessuno può essere punito per un fatto
che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene
che non siano da essa stabilite”.
Le due disposizioni si completano, la prima che fornisce
una tutela “forte” di livello costituzionale esprime il principio di
legalità in merito ai reati.
Solo la legge può prevedere che un fatto sia considerato
come reato, escludendo, così, che fonti del diritto diverse dalla legge
possano prevedere dei fatti come reato.
Il principio è poi ribadito dall’art. 1 del codice penale
che riafferma anche il principio di legalità in merito alle pene,
principio che vale anche per le misure di sicurezza ( art. 25 cost.
comma 3 e art. 199 codice penale).
Possiamo quindi giungere a questa conclusione: nel nostro
ordinamento solo la legge può prevedere che certi fatti siano
considerati reati e solo la legge può prevedere le pene per i reati e le
misure di sicurezza.
Vige quindi il principio di legalità per i reati, le pene e
le misure di sicurezza.
Si potrebbe però obiettare che sarebbe ben possibile che
una legge modifichi l’art. 1 del codice penale dando così spazio ai
regolamenti, derogando così al principio di legalità; certo, ciò
potrebbe accadere, ma contrasterebbe con l’art. 25 della Costituzione
che introduce il principio delle riserva di legge assoluta in merito ai
reati.
Solo la legge, e non altre fonti del diritto, regolamenti
in testa, possono prevedere reati.
Ciò, però, non deve far escludere che i regolamenti (cioè
gli atti normativi del Governo e dei singoli ministri) possano avere un
ruolo in merito ai reati, ma questo ruolo può riguardare solo aspetti
strettamente tecnici e non certo d’integrazione del testo legislativo.
Ma non basta. L’art. 25 della costituzione tiene a
precisare che la legge che prevede il reato dev’essere entrata in vigore
prima del fatto commesso.
Si esprime, quindi, un altro importante principio: il
principio d’irretroattività della legge che prevede un fatto come reato.
La legge penale, quindi, non può essere retroattiva.
Si tratta di un principio che risponde a una regola
fondamentale di civiltà giuridica.
Sarebbe, infatti, ingiusto e pericoloso se una legge penale
fosse retroattiva;
ingiusto perché si punirebbero dei comportamenti che nel
momento in cui furono tenuti erano leciti;
pericoloso, perché si aprirebbe la strada all’arbitrio del
legislatore.
Si consideri poi che una norma penale per possedere
un’efficacia intimidatrice, deve essere per lo meno conoscibile da parte
degli individui, cosa impossibile se non c’è ancora.
La stessa certezza del diritto, quindi, è compromessa da
norme penali (e non solo penali) retroattive. Il principio di fonte
costituzionale trova poi una sua specificazione nell’art. 2 del codice
penale che nei primi tre commi dispone che:
Successione di leggi
penali.
“Nessuno può essere punito per un
fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva
reato.
Questo articolo, però, pone anche nei commi successivi il
principio di retroattività e ultra attività della disposizione più
favorevole al reo.
Secondo il quarto e quinto comma dell’art. 2 c.p.:
“Se la legge del
tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si
applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che
sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
Cerchiamo di spiegare questi commi con degli esempi.
Se tizio ha commesso un reato sotto la vigenza di una legge
penale, ma poi è giudicato sotto la vigenza di una nuova legge penale
che disciplina lo stesso fatto ma con una disciplina più favorevole, si
applicherà a tizio la pena prevista dalla nuova legge. Come si vede la
nuova legge è retroattiva.
D’altro canto se tizio ha commesso un reato sotto la
vigenza di una legge penale, ma poi è giudicato sotto la vigenza di una
nuova legge penale che disciplina lo stesso fatto ma con una disciplina
meno favorevole, si applicherà a tizio la pena prevista dalla vecchia
legge anche se è stata ormai abrogata. Come si vede la vecchia legge è
ultra attiva.
Il limite è la sentenza di condanna passata in giudicato.
Se infatti tizio è condannato con sentenza passata in
giudicato, e poi è
promulgata per lo stesso fatto una nuova legge con una disciplina più
favorevole il povero tizio sconterà la condanna irrogata secondo la
vecchia legge.
Bisogna specificare, però, che la legge sarà più favorevole
secondo la sua applicazione concreta e non solo in astratto; se ad es.
la nuova legge ha innalzato il minimo di pena e diminuito il massimo e
il giudice ritiene di irrogare il minimo della pena, il giudice
applicherà la vecchia legge, in quanto sarà più favorevole; ma se
intende irrogare il massimo della pena, applicherà la legge vigente.
Nel fenomeno di successione di legge più favorevole,
secondo l’ultimo comma dell’art. 2 c.p. rientrano anche le ipotesi
relative alla decadenza o mancata ratifica o conversione con emendamenti
di un decreto legge.
Anche in questi casi si applicheranno le regole viste prima
relativamente ai commi 1, e 4 dell’art. 2, ma non per il secondo e
terzo comma dello stesso articolo e ciò per effetto della sentenza della
Corte Costituzionale che con sentenza del 22 febbraio 1985, n.
Anche in questi casi si applicheranno le regole viste prima
relativamente ai commi 1 e 4 dell’art. 2, ma non per il secondo e terzo
comma dello stesso articolo e ciò per effetto della sentenza della Corte
Costituzionale che con sentenza del 22 febbraio 1985, n.
Analizziamo un attimo l’effetto della sentenza della Corte
Costituzionale sull’art. 2 soffermandoci sul caso della mancata
conversione del decreto legge e soffermiamoci sul caso concreto.
Immaginiamo che il decreto legge prevedesse una disciplina più
favorevole al reo per un fatto commesso prima dell’entrata in
vigore dello stesso decreto legge, poi non convertito.
Applicando l’ultimo comma dell’art. 2 si dovrebbe irrogare
al reo la pena più mite prevista dal decreto legge non convertito, e
invece no, per l’intervento della Corte, gli si applicherà la pena
prevista dalla vecchia disciplina non modificata dal decreto legge,
perché questo non è stato convertito.
Una deroga al principio dell’applicazione della legge più
favorevole si ha nel caso
di leggi eccezionali o
temporanee.
Per leggi eccezionali intendiamo quelle che sono promulgate
per far fronte a situazioni eccezionali (come una calamità naturale) e
non quelle che fanno eccezione a principi generali di cui all’art. 14
delle preleggi al codice civile.
Per leggi temporanee, invece, s’intendono le leggi per le
quali è previsto un termine per la loro durata, trascorso il quale la
legge cessa di essere in vigore.
La ragione della mancata applicazione della regola sulla
disposizione più favorevole è intuitiva.
Se, ad es. in occasione di un terremoto s’inaspriscono le
pene per chi compie atti di sciacallaggio, e poi, terminata l’emergenza,
si torna alla vecchia disciplina più favorevole, allo “sciacallo” che ha
commesso il fatto sotto la disciplina della legge eccezionale sarà
irrogata la disciplina più severa di questa legge. Diversamente
l’efficacia intimidatoria della legge eccezionale sarebbe attenuata. |