Le fonti dell’Unione Europea e la consuetudine.

video, introduzione alla lezione 1

 

 

Dobbiamo ora occuparci del rapporto tra diritto penale e Unione Europea ponendoci una fondamentale domanda: l’Unione Europea può attraverso le sue fonti normative prevedere direttamente norme penali?

La risposta deve essere negativa per due motivi:

1) Per il nostro ordinamento (art. 25 Cost. comma 2)solo la legge può prevedere norme penali; di conseguenza solo lo Stato italiano può disporre in materia penale e non l’Unione Europea;
2) I trattati istitutivi dell’Unione Europea non prevedono che l’Unione possa produrre direttamente norme penali.

Si potrebbe quindi chiudere qui il discorso sui rapporti tra Unione Europea e diritto penale, ma in realtà è necessario porci un’altra domanda su detti rapporti: se è vero che l’Unione Europea non può emanare direttamente norme penali, può obbligare gli Stati membri a produrle su particolari oggetti?

La risposta deve essere positiva. L’Unione ha questo potere che le è attribuito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
Riportiamo il testo dell’art. 83 del TFUE limitandoci al primo e secondo comma evidenziando in corsivo le parti che più ci interessano.

1. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni.

Dette sfere di criminalità sono le seguenti: terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata.

In funzione dell'evoluzione della criminalità, il Consiglio può adottare una decisione che individua altre sfere di criminalità che rispondono ai criteri di cui al presente paragrafo. Esso delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo.

2. Allorché il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale si rivela indispensabile per garantire l'attuazione efficace di una politica dell'Unione in un settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione, norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nel settore in questione possono essere stabilite tramite direttive. Tali direttive sono adottate secondo la stessa procedura legislativa ordinaria o speciale utilizzata per l'adozione delle misure di armonizzazione in questione, fatto salvo l'articolo 76.

 

 

Come si vede l’Unione Europea non può produrre direttamente norme penali, ma può farlo in via mediata attraverso lo strumento della direttiva.

La direttiva non si applica direttamente, come i regolamenti, ma obbliga gli Stati membri alla sua applicazione; vediamo cosa dispone in proposito l’art. 288 comma del TFUE:

La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi.

 
In altre parole gli Stati membri dovranno adeguarsi, diversamente rischieranno una procedura d’infrazione.

D’altro canto poiché, per quanto riguarda l’Italia, poiché le norme penali devono essere di natura legislativa, non vi sarà altra strada che la legge per adeguarsi alla direttiva.
In conclusione: l’Unione Europea non ha un potere diretto di emanare norme penali, ma può indirettamente imporre agli Stati membri l’emanazione di norme penali.

Ma il discorso non può chiudersi qui.

Poniamoci un’altra domanda: cosa succede se una norma penale è in contrasto con il diritto dell’Unione?

Prima di rispondere sgombriamo il campo da un possibile equivoco: è possibile che norme penali italiane contrastino con norme penali dell’Unione?

La risposa deve essere negativa per il semplice fatto che, come abbiamo visto, l’Unione non può produrre direttamente norme penali.

E allora il conflitto può esserci in altro modo, come nel caso in cui una legge penale consideri illecito un comportamento che secondo il diritto dell’Unione è lecito.

Il diritto dell’Unione, nelle materie di sua competenza, prevale su quello degli Stati membri e in caso di contrasto è il diritto dell’Unione che deve prevalere anche secondo quanto ha deciso la nostra Corte Costituzionale.

In caso di conflitto il giudice italiano dovrà quindi tener conto ( a parte le ipotesi di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea o di rinvio alla Corte Costituzionale) degli articoli 11 e 117 della Costituzione e quindi far prevalere le normativa dell’Unione.

Ma come dovrà fare? Se il contrasto è tra una norma penale italiana e un regolamento dell’Unione o una direttiva dettagliata, dovrà disapplicare la normativa penale italiana (altra dottrina parla di neutralizzazione della norma penale italiana).

 

Veniamo, infine, alla consuetudine.

La consuetudine non è una fonte atto, ma una fonte fatto, cioè una fonte produttiva di norme che proviene da comportamenti, da fatti.

La consuetudine sorge da un comportamento ripetuto nel tempo ritenuto dalla collettività che lo tiene giuridicamente obbligatorio. Gli elementi della consuetudine sono quindi il tempo e la convinzione che sia giuridicamente obbligatorio.

Logicamente si deve ritenere che il comportamento della collettività o del gruppo sia ripetuto così tante volte che poi nasca la convinzione che sia giuridicamente obbligatorio.

La consuetudine non può dar vita a nuovi reati, per la riserva di legge dell’art. 25 cost., ma non può nemmeno abrogare leggi che prevedono reati già esistenti, perché nella gerarchia delle fonti occupa l’ultimo gradino, e non può certo contrastare con una legge.

Il ruolo della consuetudine è quindi molto limitato (si afferma, ma non senza contrasti, che potrebbe avere una valenza interpretativa del precetto penale), ma è bene chiarire che quando si parla di consuetudine ci si riferisce alla consuetudine fonte del diritto e non alla consuetudine come fatto sociale in base al quale “è consuetudine” che si tenga un certo comportamento.

Si fa spesso l’esempio del reato di atti osceni, il cui contenuto cambia nel tempo in relazione all’evoluzione della società; ad es. in passato non era ammesso che le donne potessero andare al mare in bikini, ma ora “è consuetudine” che ciò accada e quindi non commette il reato di atti osceni una donna che vada al mare in bikini o in topless.

Altri esempi se ne potrebbero fare, per es. la consuetudine di sparare fuochi artificiali all’ultimo dell’anno, oppure di scambiarsi dei regali a Natale. Tutte queste consuetudini non sono certo la consuetudine fonte del diritto, ma sono dei comportamenti socialmente accettati che possono avere influenza sul precetto penale specificandolo o interpretandolo.