Le fonti dell’Unione Europea e la consuetudine.
Dobbiamo ora occuparci del rapporto tra diritto penale e Unione Europea
ponendoci una fondamentale domanda:
l’Unione Europea può attraverso le sue fonti normative prevedere
direttamente norme penali?
La risposta deve essere negativa per due motivi:
1) Per il nostro ordinamento (art. 25 Cost. comma 2)solo la legge può
prevedere norme penali; di conseguenza solo lo Stato italiano può
disporre in materia penale e non l’Unione Europea;
Si potrebbe quindi chiudere qui il discorso sui rapporti tra Unione
Europea e diritto penale, ma in realtà è necessario porci un’altra
domanda su detti rapporti: se è
vero che l’Unione Europea non può emanare direttamente norme penali, può
obbligare gli Stati membri a produrle su particolari oggetti?
La risposta deve essere positiva. L’Unione ha questo potere che le è
attribuito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
Come si vede l’Unione Europea non può produrre direttamente norme
penali, ma può farlo in via mediata attraverso lo strumento della
direttiva.
La direttiva non si applica direttamente, come i regolamenti, ma obbliga
gli Stati membri alla sua applicazione; vediamo cosa dispone in
proposito l’art. 288 comma del TFUE:
D’altro canto poiché, per quanto riguarda l’Italia, poiché le norme
penali devono essere di natura legislativa, non vi sarà altra strada che
la legge per adeguarsi alla direttiva.
Ma il discorso non può chiudersi qui.
Poniamoci un’altra domanda: cosa succede se una norma penale è in
contrasto con il diritto dell’Unione?
Prima di rispondere sgombriamo il campo da un possibile equivoco:
è possibile che norme penali italiane contrastino con norme penali
dell’Unione?
La risposa deve essere negativa per il semplice fatto che, come abbiamo
visto, l’Unione non può produrre direttamente norme penali.
E allora il conflitto può esserci in altro modo, come nel caso in cui
una legge penale consideri illecito un comportamento che secondo il
diritto dell’Unione è lecito.
Il diritto dell’Unione, nelle materie di sua competenza, prevale su
quello degli Stati membri e in caso di contrasto è il diritto
dell’Unione che deve prevalere anche secondo quanto ha deciso la nostra
Corte Costituzionale.
In caso di conflitto il giudice italiano dovrà quindi tener conto ( a
parte le ipotesi di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea
o di rinvio alla Corte Costituzionale) degli articoli 11 e 117 della
Costituzione e quindi far prevalere le normativa dell’Unione.
Ma come dovrà fare? Se il contrasto è tra una norma penale italiana e un
regolamento dell’Unione o una direttiva dettagliata, dovrà disapplicare
la normativa penale italiana (altra dottrina parla di neutralizzazione
della norma penale italiana).
Veniamo, infine, alla consuetudine. La
consuetudine non è una fonte atto, ma una fonte fatto, cioè una fonte
produttiva di norme che proviene da comportamenti, da fatti. La
consuetudine sorge da un comportamento ripetuto nel tempo ritenuto dalla
collettività che lo tiene giuridicamente obbligatorio. Gli elementi
della consuetudine sono quindi il tempo e la convinzione che sia
giuridicamente obbligatorio.
Logicamente si deve ritenere che il comportamento della collettività o
del gruppo sia ripetuto così tante volte che poi nasca la convinzione
che sia giuridicamente obbligatorio. La
consuetudine non può dar vita a nuovi reati, per la riserva di legge
dell’art. 25 cost., ma non può nemmeno abrogare leggi che prevedono
reati già esistenti, perché nella gerarchia delle fonti occupa l’ultimo
gradino, e non può certo contrastare con una legge. Il
ruolo della consuetudine è quindi molto limitato (si afferma, ma non
senza contrasti, che potrebbe avere una valenza interpretativa del
precetto penale), ma è bene chiarire che quando si parla di consuetudine
ci si riferisce alla consuetudine fonte del diritto e non alla
consuetudine come fatto sociale in base al quale “è consuetudine” che si
tenga un certo comportamento. Si
fa spesso l’esempio del reato di atti osceni, il cui contenuto cambia
nel tempo in relazione all’evoluzione della società; ad es. in passato
non era ammesso che le donne potessero andare al mare in bikini, ma ora
“è consuetudine” che ciò accada e quindi non commette il reato di atti
osceni una donna che vada al mare in bikini o in topless.
Altri esempi se ne potrebbero fare, per es. la consuetudine di sparare
fuochi artificiali all’ultimo dell’anno, oppure di scambiarsi dei regali
a Natale. Tutte queste consuetudini non sono certo la consuetudine fonte
del diritto, ma sono dei comportamenti socialmente accettati che possono
avere influenza sul precetto penale specificandolo o interpretandolo. |