I
corollari dei principi di legalità. Tassatività e determinatezza,
divieto di analogia.
Il
principio di legalità è sorto dall’esigenza di attribuire alla legge del
Parlamento il potere di creare reati. Ma
il principio di legalità, da solo, non è sufficiente a realizzare la
piena funzione di garanzia della norma penale, cioè la funzione di
chiarezza del precetto che produce la possibilità da parte
dell’individuo di conoscerlo. Di
conseguenza la legge penale deve avere delle caratteristiche peculiari
non espressamente previste in via generale dal legislatore. Si
afferma, di conseguenza, che la norma penale deve essere tassativa e
determinata. La
caratteristica della determinatezza sta nella descrizione più precisa
possibile del comportamento oggetto della norma. La
tassatività riguarda il fatto che il giudice deve applicare la pena solo
ai fatti individuati nella norma penale; più la norma penale è
determinata più sarà agevole per il giudice applicarla ai casi in essa
considerati. La
norma penale quindi deve indicare con precisione il comportamento
vietato, la condotta oggetto della norma è quindi tipica, prevista dalla
legge. Di conseguenza violerebbe il principio di determinatezza e di
tipicità della condotta penale una legge che fosse generica
nell’indicare le condotte vietate.
D’altro canto gli stessi principi di tassatività e determinatezza
sarebbero poi violati se si ammettesse l’analogia nel diritto penale. Se
fosse ammissibile l’analogia in relazione ai reati, ne diverrebbero
incerti i confini lasciando poi
al giudice il potere di creare figure di reati per analogia non previste
dalla legge.
L’estensione analogica di reati a comportamenti non previsti dalla legge
non è ammissibile, per le ragioni prima ricordate e confermate
dall’espresso divieto dell’art. 14 delle preleggi al codice civile che
così dispone: “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad
altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”. Del
resto dallo stesso art. 25 della costituzione si ricava lo stesso
principio. Il
divieto, però, non è assoluto. Se
non c’è alcun dubbio che il divieto di analogia riguarda le norme penali
che prevedono reati e cioè solo le norme penali " incriminatrici "
quelle cioè che prevedono la figura base del reato dei suoi elementi
costitutivi essenziali, le sanzioni gli effetti penali della condanna e
anche quelle disposizioni che concorrono in via generale a definire i
presupposti della punibilità, dubbi sorgono per altre norme che possono
essere considerate facenti parte del diritto penale ma che non prevedono
reati. Il
riferimento è alle regole contenute nella parte generale del codice
penale, regole che hanno il compito di integrare le norme penali (cioè i
reati) contenuti nella parte speciale del codice penale e nelle
numerosissime leggi speciali. Si
ammette che l’analogia sia possibile in bonam partem, cioè applicare
l’analogia per norme che prevedono cause di non punibilità del fatto
previsto o attenuazioni della pena e prime tra tutte le cause di
giustificazione (come la legittima difesa o lo stato di necessità). Si
afferma, infatti, con particolare riferimento alle cause di
giustificazione, che alcune regole contenute nella parte generale del
codice penale, non fanno parte del solo diritto penale, ma sono
espressione di principi generali dell’ordinamento, e quindi fanno parte
anche di altri rami del diritto potendo quindi essere applicate anche in
via analogica. Di
conseguenza una norma penale che non ha direttamente oggetto un reato,
potrà essere applicata in via analogica quando sarà espressione di un
principio generale, ma non negli altri casi.
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