La
condotta
Per esserci reato è necessario che vi sia stato un
comportamento umano rilevante per il diritto penale, e questo
comportamento può assumere due forme, l’azione e l’omissione; da questo
comportamento può scaturire un evento dal punto di vista materiale
legato alla condotta da un nesso di causalità.
D’altro canto la condotta considerata dalla norma penale
può essere descritta in maniera più o meno puntuale dalla norma penale,
senza per questo violare il principio di tassatività e determinatezza.
Queste poche righe rinchiudono diversi concetti che è
necessario isolare.
Abbiamo quindi:
a) Reati di azione:
il comportamento del reo è attivo, e si sostanzia in un’azione, azione
che può essere composta da più atti legati tra loro, oppure da un unico
atto.
Nei reati di azione il reo trasgredisce a un divieto, e
invece di astenersi dal compiere quell’azione, la compie;
esemplificando, la norma penale sostanzialmente dispone: non uccidere,
non rubare, non truffare etc. etc. e invece il reo uccide, ruba, truffa.
Nei reati di azione sorge il problema di individuare quando
si ha una sola azione e quando si hanno una molteplicità di azioni,
fatto rilevante per sapere se il soggetto abbia commesso uno solo o più
reati.
Fermo restando che anche un solo atto, e quindi un solo
movimento del corpo, può essere sufficiente a realizzare la condotta di
un reato, un’azione è caratterizzata dal fatto che i più atti sono
legati tra loro da un unico scopo, e che avvengano contestualmente, cioè
svolgersi in maniera continuativa, senza che tra di loro intercorra in
rilevante lasso di tempo.
b) Reati di omissione:
qui il reo rimane passivo, quando invece la norma gli impone di
attivarsi.
Più precisamente il reo non compie l’azione, quella
specifica azione, che la legge gli imponeva di eseguire. In questi reati
non si compie un’azione che
doveva compiersi, quindi più che trasgredire a un divieto non è eseguito
un comando. Ci siamo soffermati sul dovere da parte del reo di compiere
un’azione. Si tratta di elemento fondamentale dei reati di omissione,
perché il reato esiste solo quando grava sul soggetto un obbligo
giuridico di attivarsi e a volte sono anche le qualità personali a
determinare l’esistenza dell’obbligo; ad es. mentre il cittadino non ha
di regola l’obbligo di intervenire per sventare un reato, tale obbligo
giuridico invece grava sull’agente di polizia che assiste al reato.
I reati possono poi distinguersi in reati di pura condotta
e reati di evento.
1)Reati di pura
condotta:
basta tenere la condotta prevista dalla norma per aversi il reato, senza
che sia necessario, dal punto di vista della sua realizzazione, che si
produca un evento. Il reato c’è (a parte l’esistenza degli altri
elementi) per il sol fatto che sia tenuta quella condotta.
2) Reati di evento:
per l’esistenza del reato non basta che si sia tenuta una certa
condotta, ma è anche necessario che come conseguenza della condotta, sia
scaturito un evento, cioè una modificazione della realtà.
I reati di pura condotta possono sostanziarsi in un’azione
o in un’omissione.
Se di omissione è necessaria un’ulteriore distinzione:
a) Reati omissivi
propri: in questi casi basta non tenere la condotta richiesta per
realizzare il reato;
b) Reati omissivi
impropri: in questi casi è necessario che dall’omissione sia
scaturito un evento; non basta non aver tenuto il comportamento
richiesto, ma il mancato comportamento ha provocato un evento. Qui la
regola fondamentale è quella dell’art. 40 c.p. comma 2, secondo il
quale: Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico d’impedire equivale
a cagionarlo.
In relazione alla struttura del precetto penale si
distinguono:
1) Reati a forma
libera: in
questi la legge non descrive puntualmente la condotta vietata.
Nell’omicidio, per es., è punito chiunque cagioni la morte di un uomo,
ma la legge non descrive come debba avvenire la morte, anche un forte
spavento, quindi, potrebbe essere sufficiente.
2) Reati a forma
vincolata:
qui la condotta è descritta con maggiore precisione, come nel furto
(art. 624 c.p.). Di solito questa differenza si riscontra per
l’importanza del bene giudico protetto dalla norma, la vita nel primo
caso, il patrimonio nel secondo.
La condotta del reo provoca un danno, detto anche danno
criminale, che si sostanzia nella lesione o messa in pericolo del bene
giuridico protetto dalla norma.
Da questo punto di vista abbiamo:
a) Reati di danno:
dove il bene giuridico protetto è stato distrutto o diminuito;
b) Reati di pericolo:
dove il bene giuridico è solo messo in pericolo, ma non danneggiato.
Il pericolo è quindi elemento essenziale di questi ultimi
reati, ma a volte va accertato e provato da parte del pubblico
ministero, altre volte è la legge stessa a presumere che certi
comportamenti siano pericolosi.
Abbiamo quindi:
1) Reati di pericolo
concreto:
dove la condotta deve effettivamente aver messo in pericolo il bene
giuridico;
2) Reati di pericolo
astratto:
dove la legge presume che la condotta tenuta sia pericolosa, senza che
sia necessario fornire una prova contraria.
Punto problematico di questi ultimi reati è stabilire se
l’imputato possa fornire la prova contraria, circa l’esistenza del
pericolo presunto della norma. In genere la giurisprudenza è per la
risposta negativa, mentre la dottrina è divisa.
Ma cos’è il pericolo? Quando può dirsi che una condotta sia
pericolosa?
Una condotta è pericolosa quando è probabile che da essa
scaturisca quell’evento che la legge non vuole.
Ma allora, in base alla risposta data, tutto si sposta sul
concetto di probabilità.
Un evento è probabile quando sull’esperienza dei casi
simili, questo ha un’elevata possibilità di verificarsi.
Ad es. correre a perdifiato in una ripida discesa è una
condotta pericolosa, perché è probabile che si cada rovinosamente.
D’altro canto, si può obiettare, anche passeggiando tranquillamente in
piano si può cadere, questo evento, però,
non è probabile, ma solo possibile. Si può anche dire che tutto
è possibile, ma non è tutto è probabile.
Il pericolo è quindi la probabilità di un evento temuto. |