Il rapporto di causalità nei reati omissivi

Video, introduzione alla lezione 2 

 

La regola fondamentale è il secondo comma dell’art. 40 c.p. secondo cui:" non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo ".

Si noti che il secondo comma dell’art. 40 c.p. non dice: ”non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, lo cagiona”, ma dice: ” non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Questo, almeno, il punto di vista del legislatore.

Il rapporto di causalità è previsto sia per i reati di azione, sia per quelli di omissione.

Ma, se si rilette, è ben difficile che un’omissione possa provocare direttamente qualcosa.

Gli eventi sono in genere provocati da comportamenti attivi, non dal non far nulla, ma ciò non toglie che anche le omissioni possano provocare degli eventi, ma diverso sarà il criterio in base al quale si verificherà il rapporto di causalità nei reati di azione rispetto a quelli di omissione.

Nei reati di azione di regola il rapporto di causalità dovrà essere verificato in relazione allo svolgersi dei fatti, si tratta, in definitiva di accertare e ricostruire lo svolgersi degli eventi nella loro consequenzialità.

Nei reati di omissione dovrà essere verificato con un ragionamento, che potrà essere molto semplice, e simile a quello del reato di azione, come nel caso della madre che non allattando il figlio ne provochi la morte, oppure molto complesso, come nel caso del medico che non abbia somministrato le cure a un paziente già gravemente ammalato, paziente poi deceduto. 

Di conseguenza nel reato omissivo ci si dovrà chiedere se l’azione dovuta avrebbe impedito l’evento.

Se nonostante il compimento dell’azione dovuta s’immagina che l’evento si sarebbe ugualmente verificato, vorrà dire che l’omissione non ha avuto alcuna efficienza causale, “non ha causato” l’evento.

Se, invece, s’immagina che il compimento dell’azione dovuta avrebbe impedito l’evento, allora vi sarà efficienza causale dell’omissione e il soggetto, almeno dal punto di vista oggettivo, sarà responsabile.

Per tornare all’esempio del medico, se si accerta che nonostante la mancata somministrazione delle cure, il paziente sarebbe comunque deceduto, il medico non sarà penalmente responsabile, se, invece si accerta che la somministrazione delle cure avrebbe impedito la morte del paziente, il medico sarà responsabile.

Spesso non si tratta di un ragionamento semplice, perché è difficile in certi casi stabilire con assoluta certezza che una certa azione avrebbe impedito l’evento, ed è per questo che si ripiega su calcoli di probabilità, basati sull’esperienza di casi simili.

D’altro canto un problema simile si può presentare anche in relazione all’accertamento del rapporto di causalità nei reati di azione. A volte non c’è alcun dubbio che una certa azione ha provocato un determinato evento, ma altre volte per la concomitanza di altre cause si preferisce valutare in base a un calcolo di probabilità, se quell’azione era in grado di provocare un determinato evento.

C’è però un altro elemento che differenzia in modo netto il reato di azione rispetto a quello di omissione: l’obbligo giuridico.

Solo quando esiste l’obbligo giuridico di attivarsi vi sarà responsabilità, mancando tale obbligo non vi sarà responsabilità.

Ma da dove deriva tale obbligo?

Le fonti dell'obbligo giuridico sono riassunte nella cosiddetta triade (o trifoglio) costituita da:

1. La legge;

2. Contratto

3. Precedente azione pericolosa.

La legge va intesa in senso ampio, come fonte normativa quindi anche i regolamenti.

Il contratto è anche inteso in senso ampio come obblighi di natura privata che di regola scaturiscono del contratto; ad es. il guardiano che non sorvegliando un negozio rende possibile un furto; l’obbligo di sorveglianza deriva da un contratto.

Per la precedente azione pericolosa, si sostiene che chi realizza un’azione pericolosa, deve anche prendere le necessarie misure per evitare che il pericolo possa sfociare in un danno. Si fa l’esempio di chi apre una buca in un terreno, senza prendere le necessarie precauzioni per evitare che qualcuno ci cada dentro.

È stato però proposto un altro sistema per individuare l’obbligo giuridico rilevante per l’omissione proponendo una bipartizione delle posizioni di garanzia in una posizione di controllo, e in una posizione di protezione.

La posizione di controllo è caratterizzata dall'esistenza di doveri funzionali in capo al soggetto per la salvaguardia di indeterminati beni giuridici, rispetto ad una determinata fonte di pericolo. Si pensi al caso di colui cui è stata affidata la custodia di un pazzo, o di chi detiene sostanze tossiche. In questi casi è come se il responsabile dovesse evitare che il pericolo dall’interno si propaghi all’esterno, una sorta di barriera alla propagazione del pericolo. L’obbligo giuridico sta quindi nel dover tenere le necessarie condotte attive per evitare questo rischio.

La posizione di protezione, invece è rivestita da coloro cui spetta di tutelare determinati beni giuridici contro qualsivoglia pericolo, atto a minacciarne l'integrità. È questa la posizione del genitore rispetto al suo dovere di tutelare i figli minori dai pericoli che li minacciano.

Qui la situazione è capovolta rispetto alla precedente, è come se il soggetto dovesse evitare che il pericolo dall’esterno si propaghi all’interno della sua sfera di protezione, ed è quindi suo dovere giuridico attivarsi per la suddetta protezione. La mancata attivazione comporterà la violazione dell’obbligo giuridico, e quindi la sua responsabilità.

Questa teoria certamente coglie un aspetto rilevante del problema, d’altro canto la responsabilità penale per omissione vi sarà solo quando possa essere individuato con certezza l’obbligo giuridico di cui all’art. 40 comma 2 c.p..

Un’ultima osservazione in merito ai reati omissivi impropri, che va oltre la verifica del rapporto di causalità.

Mentre nei reati di azione, la condotta tipica è determinata dal legislatore, nei reati omissivi impropri, soprattutto di natura colposa, e a parte i casi in cui il legislatore descrive la condotta omissiva, la responsabilità nasce dall’applicazione della regola di cui al secondo comma dell’art. 40, che, anche dagli esempi fatti, risulta essere generica, per il rinvio che si fa a altre fonti spesso di natura extra penale e extra normativa, a discapito dei principi di tassatività e determinatezza della norma penale.