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L'ipotesi riportata dall'art. 1453 c.c. risponde a ragioni di logica giuridica e di buon senso.
È infatti evidente che se un parte ha eseguito le sue obbligazioni, si aspetta che l'altra faccia altrettanto; di fronte al perdurare dell'inadempimento di un parte, l'altra "in bonis" ha due strade davanti a sé:
Nel caso, infatti, che l'altra prestazione sia ancora possibile, si potrà avere ancora interesse alla sua esecuzione, ma se il perdurare dell'inadempimento fa perdere la fiducia nell'altro contraente o l'interesse per la sua prestazione, la parte in bonis potrà chiedere di sciogliersi dal vincolo attraverso la richiesta al giudice di risoluzione del contratto.
Questo potere di scelta, però, non è senza limiti. L'art. 1453 stabilisce un principio secondo cui.
se è chiesto l'adempimento si può sempre chiedere poi la risoluzione, ma se è stata chiesta prima la risoluzione non è poi più possibile chiedere l'adempimento |
I motivi di questa limitazione sono intuitivi, ma quale che sia
la scelta, alla parte adempiente spetterà comunque il risarcimento del
danno subìto per comportamento dell'altra parte.
L'art. 1453 dispone, infatti, che il risarcimento del danno spetta "in ogni
caso" riferendosi, cioè, sia ai casi di richiesta di adempimento, sia
ai casi di risoluzione, sempreché il danno si sia in effetti verificato.
Bisogna considerare, però, anche un altro importante aspetto
relativo alla risoluzione del contratto;
il codice all'art. 1453 parla, appunto, di inadempimento, per aversi
risoluzione, facendo intendere che questo inadempimento deve derivare da colpa
del debitore; di conseguenza in mancanza di colpa del debitore, non sarà
possibile chiedere la risoluzione, e, ovviamente, ottenere il risarcimento del
danno, che ha come presupposto proprio la colpa del debitore, che, però, è
presunta (v. Cass. civ. n.2853/2005);
a questo punto, però, si possono avere due situazioni, nella prima la
prestazione è ancora possibile, ed allora si tratta solo di un ritardo
nell'adempimento per causa non imputabile al debitore, che dovrà comunque
eseguire la sua prestazione, seppure in ritardo; nel secondo caso
l'inadempimento può essere definitivo, ed allora l'altra parte, escluso che
debba comunque eseguire la sua prestazione, potrà chiedere la risoluzione del
contratto ai sensi dell'art. 1463 c.c. cioè per impossibilità sopravvenuta.
Riepiloghiamo, quindi, le caratteristiche dell'inadempimento che porta alla risoluzione.
In merito al secondo punto, infatti, l'art. 1455 c.c. dispone che:
il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza avuto riguardo all'interesse dell'altra |
Ipotesi simile a questa dell'art. 1455 c.c. è quella relativa
all'inadempimento nei contratti plurilaterali, come può essere quello di
società.
Stabilisce, infatti, l'art. 1459 c.c. che in questi contratti l'inadempimento di
una parte non comporta la risoluzione del contratto, salvo che la prestazione
mancata non debba considerarsi essenziale.
La sentenza che risolve il contratto ha efficacia costitutiva in quanto crea una nuova situazione giuridica eliminando il vincolo contrattuale;
Secondo l'art. 1458 c.c. inoltre, la risoluzione ha efficacia
retroattiva tra le parti, nel senso che le parti devono restituire quanto hanno
ricevuto; tale soluzione, però, sarebbe iniqua o di difficile realizzazione in
determinate situazioni, tanto che non si applica ai contratti ad esecuzione
continuata o periodica.
In ogni caso la risoluzione non pregiudica i diritti
acquistati dai terzi anche se, per i beni mobili, questi non erano in buona fede
al momento dell'acquisto, mentre per i beni immobili si guarda alla priorità
della trascrizione.
Sino ad ora abbiamo parlato di risoluzione giudiziale, ma il contratto si può risolvere di diritto senza intervento del giudice. Abbiamo, in proposito tre ipotesi:
diffida ad adempiere |
la parte non inadempiente può intimare all'atra l'adempimento in un congruo termine non inferiore a 15 giorni. Scaduto il termine il contratto sarà risolto di diritto senza, quindi, ulteriori interventi o decisioni giudiziarie |
clausola risolutiva espressa |
le parti possono pattuire che l'inadempimento di una o più obbligazioni determinate porti alla risoluzione del contratto. La risoluzione si verifica quando il creditore dichiara all'altra di volersi avvalere della clausola |
termine essenziale |
se l'obbligazione non è adempiuta nel termine ritenuto essenziale per il creditore, il contratto è risolto di diritto alla scadenza del termine, a meno che il creditore voglia esigere la prestazione nonostante la scadenza del termine dandone notizia al debitore con comunicazione da inviare entro tre giorni |
Di fronte all'inadempimento, ci si può tutelare chiedendo la risoluzione o l'adempimento coattivo, ma tale soluzione è obbligata solo nel caso in cui si sia eseguita la propria prestazione; se, invece, non si è ancora eseguita la propria prestazione, la parte "non inadempiente" può tutelarsi con l'eccezione di inadempimento.
eccezione di inadempimento |
è una forma di autodifesa privata. Un parte si può rifiutare di adempiere la propria obbligazione se l'altra non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria obbligazione |
Non sempre, però, è possibile avvalersi dell'eccezione come accade nei seguenti casi:
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