Impugnazione del riconoscimento
Il riconoscimento, una volta effettuato, è irrevocabile
(art. 256). Questo non vuol dire, però, che non possa mai essere contestato
dallo stesso autore dell'atto, dal riconosciuto o da chiunque vi abbia
interesse, quando si pensi che non corrisponda a verità.
L'art. 263 del codice civile prevede una specifica azione che permette
d'impugnare il riconoscimento, l’impugnazione del riconoscimento per difetto di
veridicità. Vediamone le caratteristiche soffermandoci sui termini entro i
quali deve essere proposta e i legittimati ad agire che sono:
-
l’autore del
riconoscimento; l'azione deve essere proposta nel termine di
un anno che decorre dal giorno dell'annotazione del
riconoscimento sull'atto di nascita, ma se riconoscimento è stato
ottenuto con violenza, il termine per effettuare l'impugnazione è di
un anno dal giorno in cui la violenza è cessata (art. 265 c.c.);
-
l’autore del
riconoscimento se prova di aver ignorato la propria impotenza al
tempo del concepimento, il termine di un anno decorre dal giorno in
cui ne ha avuto conoscenza; nello stesso termine di un anno la madre
che ha effettuato il riconoscimento è ammessa a provare di aver
ignorato l'impotenza del presunto padre.
-
in tutti i casi
appena citati, l'azione non può essere proposta oltre cinque anni
dall'annotazione del riconoscimento.
-
per tutti gli
altri legittimati l’azione deve essere proposta nel termine
di cinque anni che decorrono dal giorno dall'annotazione del
riconoscimento sull'atto di nascita. Si applica l’art. 245 sulla
sospensione dei termini.
-
per il figlio:
l’azione è imprescrittibile;
|
Tra i legittimati all’impugnazione del riconoscimento
troviamo anche il rappresentante legale dell’interdetto che ha effettuato il
riconoscimento, e dallo stesso interdetto autore del riconoscimento entro un
anno dalla data della revoca della sentenza di
interdizione (art. 266).
Come abbiamo visto, che il figlio riconosciuto può sempre impugnare il
riconoscimento per difetto di veridicità, ma dovrebbe aspettare la maggiore età
per poterlo fare.
A tale situazione pone rimedio l’art. 264
prevedendo che l’azione può essere promossa da un curatore speciale nominato
dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha
compiuto quattordici anni, oppure del pubblico ministero o dell'altro
genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio, quando si tratti di
figlio di età inferiore.
La prova che il rapporto di filiazione non sussiste può essere fornita con
qualsiasi mezzo non escluso il test del DNA, ma anche con testimoni o
presunzioni.
Abbiamo visto che il riconoscimento può essere impugnato per violenza, ma non
per errore o per dolo, perché quello che conta veramente è solo la verità del
riconoscimento, e non la causa che l’ha provocato.
Se, quindi, vi fu errore o dolo, ma il riconoscimento era veritiero, sarà
comunque valido; se, invece, in presenza di detti vizi non era veritiero, sarà
possibile impugnarlo.
Viene da chiedersi, allora, come mai si dia una specifica rilevanza all'ipotesi
della violenza che comunque può essere servita a riconoscere “un figlio vero ".
La risposta sta nel fatto che la violenza è il più antigiuridico dei vizi della
volontà ed intacca alla radice la discrezionalità del riconoscimento. Se, poi,
non fosse prevista l'impugnazione per violenza il figlio avrebbe un facile
mezzo, più del dolo, per raggiungere i suoi scopi.