Questo è un altro momento fondamentale della procedura, perché è qui che i creditori e gli altri interessati vedono riconosciuto il loro diritto a dividersi il patrimonio dell'imprenditore fallito.
La decisione sullo stato passivo è presa con decreto (succintamente motivato, precisa l'art. 96
l.f.). Pronunciato il decreto lo stesso giudice delegato non può, di regola,
modificarlo, perché, come vedremo più avanti, sono previsti contro il
decreto che rende esecutivo lo stato passivo, specifici mezzi di impugnazione.
Le modifiche sono invece possibili per fatti sopravvenuti, come l'ammissione di
crediti tardivi, o lo scioglimento della riserva che il giudice ha posto in
relazione all'ammissione di alcuni crediti (art. 113 bis).
Nel decreto il giudice può:
Abbiamo già visto che la dichiarazione di inammissibilità non impedisce la
riproposizione della domanda,(art. 101 l.f.) come tardiva, sempreché si sia
corretto il vizio che aveva portato alla dichiarazione di inammissibilità.
Bisogna notare, in proposito, che sono diverse, in merito al contenuto, le
decisioni relative alla inammissibilità e al rigetto della domanda.
La decisione relativa alla inammissibilità (come abbiamo visto) si
riferisce alle ipotesi previste dall'art. 93 l.f. ed è sostanzialmente
incentrata su vizi formali del ricorso, vizi che possono essere in pratica
sanati con la richiesta di ammissione tardiva. Contro questa
decisione, stante la lettera dell'art. 98 l.f., non sembra possibile proporre le
impugnazioni previste dal citato articolo 98.
La decisione di rigetto, invece, entra nel merito della richiesta avanzata dal
creditore, ritenendola infondata, e ciò può accadere per vari motivi; può darsi
che il credito sia non provato, oppure che la prova sia stata fornita, ma il
credito non è opponibile al fallimento. Ancora può accadere che il giudice
respinga la domanda, perché ritiene che il credito sia revocabile, oppure che vi
sia rigetto parziale della domanda, anche nel caso in cui non riconosce le cause
di prelazione o il grado della prelazione
Se invece il creditore non abbia compiutamente articolato al sua domanda, il
giudice non la respingerà, perché in tal caso si può rientrare nell'ipotesi
dell'art. 93 comma 3 n. 3, si verte, cioè, in ipotesi d'inammissibilità.
Contro la decisione di rigetto (totale o parziale) sono possibili, come vedremo,
le impugnazioni ex art. 98 l.f.
Un particolarità riguarda i c.d. crediti accolti con riserva; si tratta di quelle situazioni in cui non si è certi, perché si è in attesa di ulteriori eventi che le consolideranno o che, all'opposto, le renderanno inefficaci o invalidi, come ad es. un credito sottoposto a condizione sospensiva.
Vediamo le singole ipotesi.
crediti ammessi al passivo con riserva |
i crediti sospensivamente condizionati e quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione di un obbligato principale (art. 55) |
i crediti per i quali la mancata produzione del titolo dipende da fatto non riferibile al creditore, salvo che la produzione avvenga nel termine assegnato dal giudice |
i crediti accertati con sentenza del giudice
ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della
dichiarazione di fallimento. In questi casi il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione |
Per questi creditori è in sostanza previsto un accantonamento delle somme che
a loro sarebbero spettate, somme che devono essere depositate; potrebbe addirittura
accadere che anche quando vi sarà la ripartizione finale dell'attivo ex art. 117
l.f. non sia ancora possibile pagare questi creditori, perché la condizione non si è ancora
verificata o il provvedimento non è ancora passato in giudicato. In tal caso
le somme sono depositate secondo le modalità stabilite dal giudice delegato.
Nel caso in cui si verifichi l'evento che ha determinato l'accoglimento di
una domanda con riserva, il giudice delegato (su istanza del curatore o
della parte interessata ) modifica lo stato passivo disponendo che la domanda
deve intendersi accolta definitivamente. La decisione del giudice è presa con
decreto (art. 113 bis l.f.).
È da notare che le decisioni del giudice in questa fase, come di regola accade in altre fasi della procedura, non avranno efficacia di giudicato, ma saranno utili sono ai fini della procedura fallimentare.
È difficile che si riesca ad esaminare tutte le domande e a svolgere tutte le altre attività in una sola udienza, ed è per questo che l'art. 96 l.f. stabilisce che, in tal caso, il giudice ne rinvia la prosecuzione a non più di otto giorni, senza che si debba inviare avviso agli intervenuti e agli assenti.