Giurisprudenza Dolo e “mendacio”,
cioè se le dichiarazioni menzognere (potremmo definirle le semplici
bugie) possano integrare il dolo contrattuale.
Cass. civ. Sez. I, 11-07-2014, n. 16004
Le dichiarazioni menzognere
(cosiddetto mendacio) sono idonee ad integrare raggiri - e, dunque, a
configurare il dolo contrattuale - la cui rilevanza è tanto maggiore in
relazione all'affidabilità intrinseca degli atti utilizzati (come quelli
contabili destinati a rappresentare in modo veritiero e corretto la
situazione patrimoniale e finanziaria di una società) e se siano rese da
una parte con la deliberata finalità di offrire una rappresentazione
alterata della veridicità dei presupposti di fatto rilevanti per la
determinazione del prezzo di cessione delle quote sociali e di viziare
nell'altra parte il processo formativo della volontà negoziale.
La valutazione della idoneità di tale
comportamento a coartare la volontà del "deceptus" è riservata al
giudice del merito, il quale è tenuto a motivare specificamente in
ordine alle concrete circostanze - la cui prova è a carico del "deceptor"
- dalle quali desumere che l'altra parte già conosceva o poteva rendersi
conto "ictu oculi" dell'inganno perpetrato nei suoi confronti. (Cassa
con rinvio, App. Milano, 29/05/2008)
FONTI CED Cassazione, 2014
Sull’irrilevanza
dell’oggetto dell’errore quando questo sia stato frutto di dolo ai fini
dell’annullamento del contratto e dell’atto unilaterale. Per chiedere
l’annullamento del contratto per dolo, come si può anche ricavare da
questa massima, non è rilevante l’ingenuità del raggirato.
Cass. civ. Sez. III, 20-02-2014, n. 4065
In tema di vizi del consenso, vige il
principio "fraus omnia corrumpit", in virtù del quale il dolo decettivo
conduce all'annullamento del contratto (come pure del negozio
unilaterale) qualunque sia l'elemento sul quale il "deceptus" sia stato
ingannato e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato
indotto, ivi compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto
del negozio. (Rigetta, App. Firenze, 24/09/2007)
FONTI CED Cassazione, 2014.
Sulla possibilità
di chiedere il risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c. derivati da un
contratto non impugnato per dolo.
Cass. civ. Sez. III, 17-09-2013, n. 21255
Allorché ricorra una violazione della
regola di buona fede nelle trattative contrattuali - nella specie,
finalizzate alla stipulazione di una transazione - che abbia dato luogo
ad un assetto d'interessi più svantaggioso per la parte che abbia subìto
le conseguenze della condotta contraria a buona fede, è esperibile
l'azione di risarcimento danni ex art. 2043 cod. civ. per lesione della
libertà negoziale, anche in presenza di un contratto non impugnato con
gli ordinari rimedi contrattuali. Anche il c.d. danno da «chance»
perduta (da intendere come possibilità di un risultato diverso e
migliore, e non come mancato raggiungimento di un risultato solo
possibile) presuppone l'accertamento del nesso di causalità materiale
attraverso l'applicazione della regola causale del «più probabile che
non». FONTI Dir. Fall., 2014, 6, 637 nota di VENTRELLA
Sull’efficacia
causale del dolo.
Cass. civ. Sez. II, 04-05-1999, n. 4409
Il vizio del consenso, per essere
causa invalidante del contratto, deve incidere sul momento di formazione
del medesimo. Specificamente per il dolo occorre che il raggiro o
l'inganno abbia agito come fattore decisivo e determinante della volontà
negoziale, restando irrilevante il fatto successivo o la postuma
alterazione della volontà.
FONTI Mass. Giur. It., 1999
Sulla efficacia
causale dell’inganno nel caso di dolo incidente.
Cass. civ. Sez. II, 16-04-2012, n. 5965
Proposta domanda risarcitoria per dolo
incidente e richiesto il risarcimento di un danno derivante da un
contratto valido ed efficace, tuttavia sconveniente, non si rivela
necessario accertare se l'inganno abbia riguardato una qualità
essenziale del bene o se sia stato determinante per il consenso.
In circostanze siffatte, invero,
l'attività ingannatrice ha una incidenza minore, in quanto influente
solo su modalità del negozio che la parte non avrebbe accettato se non
fosse stata fuorviata dal raggiro. La menzionata figura di dolo attiene,
dunque, alla formazione del contratto e la sua eventuale esistenza non
incide sulla possibilità di far valere i diritti sorti dal medesimo, ma
comporta unicamente la responsabilità del contraente in mala fede in
relazione ai danni provocati dalla sua condotta illecita.
Il silenzio di una
parte può integrare un caso di dolo? Secondo la cassazione ciò è
possibile.
Cass. civ. Sez. II, 02-02-2012, n. 1480
Il dolo quale causa di annullamento
del contratto (ai sensi dell'art. 1439 c.c.) può consistere tanto
nell'ingannare con notizie false, con parole o con fatti la parte
interessata (dolo commissivo) quanto nel nascondere alla conoscenza
altri, col silenzio o con la reticenza, fatti o circostanze decisive
(dolo omissivo). FONTI Notariato, 2012, 3, 250
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