Giurisprudenza.
Risoluzione
contrattuale e contratto di appalto pubblico, quale la disciplina in
caso di inadempimento?
Cass. civ. Sez. I Ord., 05-09-2018, n. 21656
In tema di appalto di opere pubbliche, la riserva, attenendo ad una
pretesa economica di matrice contrattuale, presuppone l'esistenza di un
contratto valido di cui si chiede l'esecuzione, mentre, ogni qualvolta
si faccia questione di invalidità del contratto e dei modi della sua
estinzione, come nel caso della risoluzione per inadempimento, le
pretese derivanti dall'inadempimento della stazione appaltante non vanno
valutate in relazione all'istituto delle riserve, ma seguono i principi
di cui agli artt. 1453 e 1458 c.c.
FONTI
Prima chiedo
l’adempimento, poi cambio idea e chiedo nel corso del giudizio la
risoluzione, posso chiedere
contestualmente i danni?
Cass. civ. Sez. I Ord., 25-06-2018, n. 16682 (rv. 649575-01)
La parte che chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel
corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l'adempimento, ai
sensi dell'art. 1453, comma 2, c.c. , può domandare, contestualmente
all'esercizio dello "ius variandi", oltre alla restituzione della
prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla
cessazione degli effetti del regolamento negoziale. (Nella specie,
FONTI
Per chiedere la
risoluzione è necessaria la preventiva costituzione in mora? No, ma
supponiamo che si tratti di prestazione da eseguire presso il domicilio
del debitore, non è effettuata la costituzione in mora, e allora la
prestazione può comunque essere eseguita non valendo il principio
dell’ultimo comma dell’art. 1453 secondo cui dalla domanda di
risoluzione la parte inadempiente non può più eseguire la prestazione.
Cass. civ. Sez. II Sent., 18-06-2018, n. 15993 (rv. 649224-01)
La costituzione in mora di regola non è necessaria ai fini della
risoluzione per inadempimento, salvo quando la risoluzione si basi sulla
mora in senso stretto, cioè su di un inadempimento non definitivo
relativo ad una prestazione da eseguire al domicilio del debitore; in
tali casi la mancata costituzione in mora prima del giudizio di
risoluzione non impedisce l'esecuzione della prestazione, in deroga al
principio generale dettato dall'art.1453, ultimo comma, c.c.
(Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO MILANO, 22/02/2013)
FONTI
Tutte e due le parti
chiedono la risoluzione per i reciproci inadempimenti rivelatisi poi
inesistenti, cosa deve fare il giudice?
Cass. civ. Sez. III Sent., 19-03-2018, n. 6675 (rv. 648298-02)
In presenza di reciproche domande di risoluzione contrattuale fondate da
ciascuna parte sugli inadempimenti dell'altra, il giudice che accerti
l'inesistenza di singoli specifici addebiti, non potendo pronunciare la
risoluzione per colpa di taluna di esse, deve dare atto
dell'impossibilità dell'esecuzione del contratto per effetto della
scelta di entrambi i contraenti ex art. 1453, comma 2, c.c. , e
pronunciare comunque la risoluzione del contratto, con gli effetti di
cui all'art. 1458 c.c. , essendo le due contrapposte manifestazioni di
volontà dirette all'identico scopo dello scioglimento del rapporto
negoziale. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BARI, 16/03/2015)
FONTI
L’interesse della
parte che giustifica la richiesta di risoluzione e la convenienza tra
risoluzione e condanna all’adempimento.
Cass. civ. Sez. III Ord., 20/02/2018, n. 4022
L'interesse cui, ai sensi dell'art. 1455 c.c., va comparata l'importanza
dell'inadempimento ai fini della pronuncia costitutiva di risoluzione
del contratto, è rappresentato dall'interesse che la parte non
inadempiente aveva o avrebbe potuto avere alla regolare esecuzione del
contratto, e non dalla convenienza, per essa, della domanda di
risoluzione rispetto a quella di condanna all'adempimento.
FONTI
L’importanza
dell’inadempimento necessario ( in relazione all’interesse dell’altra
parte) per la risoluzione
(art. 1455 c.c.).
Cass. civ. Sez. II, 11-06-2018, n. 15052
In tema di contratti, ai fini della risoluzione del contratto nel caso
di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l'indagine circa
la gravità della inadempienza deve tener conto del valore, determinabile
mediante il criterio di proporzionalità, che la parte dell'obbligazione
non adempiuta ha rispetto al tutto, nonché considerare se per effetto
dell'inadempimento si sia verificata ai danni della controparte una
sensibile alterazione dell'equilibrio contrattuale.
FONTI
Cass. civ. Sez. II Sent., 11-06-2018, n. 15052 (rv. 649073-02)
Ai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto
adempimento della prestazione, l'indagine circa la gravità della
inadempienza deve tenere conto del valore, determinabile mediante il
criterio di proporzionalità, della parte dell'obbligazione non adempiuta
rispetto al tutto, nonché considerare se, per effetto
dell'inadempimento, si sia verificata, ai danni della controparte, una
sensibile alterazione dell'equilibrio contrattuale. (Nella specie,
FONTI
Una parte è
inadempiente, poi vuole eseguire tardivamente l’adempimento, si può
rifiutare e chiedere la risoluzione? Sì.
Cass. civ. Sez. II Ord., 14-05-2018, n. 11653 (rv. 648246-01)
In caso di inadempimento di una delle parti di un contratto a
prestazioni sinallagmatiche per essere inutilmente decorso il previsto
termine non essenziale, l'altra parte, che non abbia ancora proposto
domanda giudiziale di risoluzione del contratto, può non di meno
rifiutare legittimamente l'adempimento tardivo quando - tenuto conto
della non scarsa importanza dell'inadempimento in relazione alle
posizioni delle parti, suscettibile di verifica ad opera del giudice -
sia venuto meno l'interesse della parte non inadempiente a che il
contratto abbia esecuzione e pertanto può, anche dopo l'offerta di
adempimento tardivo, agire in giudizio per la risoluzione del vincolo
contrattuale.
FONTI
Mi è stata rigettata
la domanda di risoluzione, posso riproporla per altri motivi? No.
Cass. civ. Sez. III Sent., 15-02-2018, n. 3702 (rv. 647947-01)
Il rigetto, con pronuncia avente efficacia di giudicato, della domanda
di risoluzione di un contratto preclude la riproposizione della medesima
azione, sia pure sulla base di un diverso "petitum" o di una differente
"causa petendi", atteso che la nuova domanda di risoluzione, sebbene
fondata su motivi diversi, tenderebbe a realizzare una situazione
giuridica opposta a quella della sussistenza del rapporto già accertata
dal precedente giudicato. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 02/12/2013)
FONTI
Domanda di
risoluzione del contratto, chiedo i danni e poi anche il maggior danno
rispetto agli interessi legali, si può fare? Non sempre.
Cass. civ. Sez. I Ord., 14-06-2018, n. 15708 (rv. 649449-01)
In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, in favore della
parte adempiente, oltre al risarcimento, ai sensi dell'art. 1453 c.c. ,
può essere riconosciuto anche il maggior danno, rispetto a quello
ristorato dagli interessi legali, ai sensi dell'art. 1224, comma 2,
c.c. , sempre che tale ulteriore risarcimento, del quale il richiedente
ha l'onere di provare le condizioni, non rimanga assorbito da quello
accordato per il danno derivante dall'inadempimento, dovendosi evitare
ingiustificate duplicazioni. (Nella specie,
FONTI
E certo! verrebbe da
dire leggendo queste massime.
Cass. civ. Sez. II, 11-06-2018, n. 15052
Posto che la legge prevede che la diffida sia fatta "alla parte
inadempiente", deve escludersi che la diffida possa essere intimata
prima della scadenza del termine di esecuzione del contratto.
FONTI
Cass. civ. Sez. II Sent., 11-06-2018, n. 15052 (rv. 649073-01)
Ai sensi dell'art. 1454 c.c. , il contraente che si avvale dello
strumento dalla diffida deve essere già vittima dell'altrui
inadempimento. Pertanto, deve escludersi che detta diffida possa essere
intimata prima della scadenza del termine di esecuzione del contratto,
trattandosi di uno strumento offerto ad un contraente nei confronti
dell'altro che sia inadempiente per ottenere una celere risoluzione del
contratto senza dovere attendere la pronuncia del giudice. (Cassa con
rinvio, CORTE D'APPELLO CATANIA, 10/10/2013)
FONTI
Funzione della
diffida ad adempiere.
Cass. civ. Sez. II, 11-06-2018, n. 15052
La diffida ad adempiere, nella sua struttura logica e sistematica, è uno
strumento offerto a un contraente nei confronti dell'altro inadempiente
per una celere risoluzione del contratto, affinché il contraente
adempiente non resti vincolato all'altro fino alla pronuncia del Giudice
e possa provvedere con altri alla realizzazione del suo interesse
negoziale.
FONTI Notariato, 2018, 4, 412
Procura in forma
scritta e diffida ad adempiere.
Cass. civ. Sez. II Ord., 07-05-2018, n. 10860 (rv. 648030-01)
In tema di diffida ad adempiere intimata da un procuratore, la necessità
che la relativa procura abbia forma scritta agli effetti risolutivi di
cui all'art. 1454 c.c. non implica la sua allegazione alla diffida
medesima, essendo sufficiente che tale procura sia portata a conoscenza
del debitore con mezzi idonei, salvo il diritto dell'intimato a farsene
rilasciare copia ai sensi dell'art. 1393 c.c. (Rigetta, CORTE D'APPELLO
BARI, 27/08/2013)
FONTI
Clausola risolutiva
espressa, e clausole vessatorie.
Cass. civ. Sez. III Ord., 05-07-2018, n. 17603 (rv. 649554-01)
La clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto
potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato
inadempimento della controparte, dispensandola dall'onere di provarne
l'importanza.
Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad
alcuna delle ipotesi previste dall'art. 1341, co. 2, c.c. , neanche in
relazione all'eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei
contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre
eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è
connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola
risolutiva si limita soltanto a rafforzarla. (Rigetta, CORTE D'APPELLO
GENOVA, 30/10/2015)
FONTI
Il locatore prima si
avvale della clausola risolutiva espressa e poi percepisce i successivi
canoni di locazione, poi vuole di nuovo avvalersi della clausola
risolutiva espressa, dovrà dichiarare di nuovo di volersene avvalere, o
basterà la prima dichiarazione?
Cass. civ. Sez. VI - 3 Ord., 06-06-2018, n. 14508 (rv. 649341-01)
La tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine
stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in
un contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia se il
creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una
nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all'esatto
adempimento delle sue obbligazioni.
Tuttavia, in applicazione del generale principio di buona fede
nell'esecuzione del contratto e del divieto dell'abuso del processo, non
può essere imposto al locatore di agire in giudizio avverso ciascuno dei
singoli analoghi inadempimenti, al fine di escludere una sua condotta di
tolleranza. (Rigetta, CORTE D'APPELLO PALERMO, 29/12/2016)
FONTI
Il diritto
potestativo di avvalersi del termine essenziale è soggetto a
prescrizione? E da quando decorre il termine prescrizionale?
Cass. civ. Sez. III Sent., 15-03-2018, n. 6386 (rv. 648422-01)
Il diritto potestativo di risolvere il contratto mediante la
manifestazione di volontà di avvalersi della clausola risolutiva
espressa è soggetto a prescrizione ai sensi dell'art. 2934 c.c. , non
trattandosi di diritto indisponibile o comunque di situazione giuridica
soggettiva per cui tale causa di estinzione sia esclusa dalla legge e
l'inizio della decorrenza del relativo termine coincide, secondo la
regola generale dettata dall'art. 2935 c.c. , con il momento in cui il
diritto stesso può essere fatto valere e cioè con il verificarsi
dell'inadempimento, mentre il termine di prescrizione decennale del
diritto alle altre singole prestazioni successive, distinte e
periodiche, decorre dalle singole scadenze di esse, in relazione alle
quali sorge, di volta in volta, l'interesse del creditore a ciascun
adempimento. (Nella specie,
FONTI
La definizione del
termine essenziale
Cass. civ. Sez. II Ord., 16-07-2018, n. 18835
In tema di contratti, il termine per l'adempimento può essere ritenuto
essenziale ai sensi e per gli effetti dell'art. 1457 c.c. solo quando,
all'esito dell'indagine istituzionalmente riservata al giudice di
merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai
contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto,
risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta
l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del termine
medesimo.
FONTI
Questa massima
chiarisce la durata dell’incarico conferito all’avvocato dal cliente e
la mette in relazione alla possibilità di proporre eccezione di
inadempimento.
Cass. civ. Sez. II Sent., 16-07-2018, n. 18858 (rv. 649704-01)
L'incarico professionale deve essere considerato unitariamente anche
quando vi siano stati più gradi di giudizio e indipendentemente dal
fatto che sia stata conferita una nuova procura al medesimo difensore
per il grado successivo; tale circostanza, infatti, implica la
prosecuzione dell'affare di cui il legale era stato incaricato dal
cliente e non il suo esaurimento, sicché il cliente, alla data di
pubblicazione della sentenza non impugnabile che definisce il giudizio,
può ancora opporre l'eccezione d'inadempimento, ex art. 1460 c.c. , per
avere l'avvocato violato l'obbligo di diligenza professionale. (Cassa
con rinvio, TRIBUNALE NAPOLI, 06/06/2013)
FONTI
Domanda di risoluzione e eccezione di
inadempimento
Cass. civ., Sez. VI-1, Ord., 11
settembre 2017, n. 21104
Fonte De Agostini Giuridica.
La risoluzione del
contratto è basata sull’inadempimento di una parte, ma spesso accade che
gli inadempimenti sono reciproci, qui il giudice per pronunciarsi sulla
risoluzione deve verificare quale sia la più grave, ma per una pronuncia
sulla risoluzione deve essere in grado di accertarle.
Cass. civ. Sez. III, 18-09-2015, n. 18320 (rv. 637458)
In tema di risoluzione del contratto,
qualora siano dedotte reciproche inadempienze, la valutazione
comparativa del giudice intesa ad accertare la violazione più grave,
incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, deve
tenere conto non solo dell'elemento cronologico ma anche degli apporti
di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute
e della loro incidenza sulla funzione del contratto, sicché, ove manchi
la prova sulla causa effettiva e determinante della risoluzione,
entrambe le domande vanno rigettate per insussistenza dei fatti
costitutivi delle pretese azionate. (in applicazione dell'anzidetto
principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata di rigetto delle
contrapposte domande di risoluzione sulla valutata equivalenza degli
inadempimenti del locatore e del conduttore di un locale adibito a
bar-pizzeria con annessa sala giochi, il primo per non aver fornito
locali idonei all'uso pattuito e aver omesso la fornitura di
videogiochi, il secondo perché moroso nel pagamento dei canoni e per non
aver stipulato una polizza fideiussoria ed assicurativa). (Rigetta, App.
Napoli, 03/11/2011)
FONTI CED Cassazione, 2015
Una massima che si occupa del cumulo
di domande in seguito a inadempimento;
da questa si ricava che si può agire
in giudizio per la risoluzione con più domande, a meno che non siano
incompatibili; nel caso l’attore ( acquirente dell’azienda) ha chiesto i
danni dovuti all’inadempimento (violazione del patto di non concorrenza)
e la risoluzione del contratto di cessione di azienda con la conseguente
restituzione delle rate già pagate.
La domanda di accertamento della
violazione del divieto di concorrenza derivante dal contratto di
cessione di azienda (o del ramo d'azienda) è volta a far
valere l'inadempimento del contratto e non è incompatibile con la
domanda di risoluzione contrattuale fondata sul medesimo presupposto,
non essendovi neppure contrasto tra gli obiettivi delle due domande,
consistenti, da un lato, nella richiesta di risarcimento dei danni
cagionati dalla violazione, e, dall'altro, nella richiesta di
restituzione delle rate di prezzo pagate e nella dichiarazione di
cessazione dell'obbligo di corrispondere quelle non ancora scadute.
(Rigetta, App. Firenze, 21/04/2008)
FONTI CED Cassazione, 2015
Le cause di
risoluzione di un contratto possono essere più d’una, e successive; se
si è già verificata nel corso del giudizio una causa di risoluzione, si
può comunque portare avanti il giudizio per l’originaria causa di
risoluzione o si deve chiuderlo per la cessazione della materia del
contendere?
Nell'ipotesi in cui, nel corso del
procedimento instaurato dal locatore per ottenere la risoluzione del
contratto di locazione per inadempimento del conduttore, intervenga la
restituzione dell'immobile per finita locazione, non vengono meno
l'interesse ed il diritto del locatore ad ottenere l'accertamento
dell'operatività di una pregressa causa di risoluzione del contratto per
grave inadempimento del conduttore, potendo da tale accertamento
derivare effetti a lui favorevoli. (In applicazione di tale principio,
la S.C. ha annullato la decisione di merito che aveva dichiarato cessata
la materia del contendere, sul presupposto dell'avvenuta cessazione del
contratto di locazione ad uso non abitativo nelle more tra il giudizio
di primo e secondo grado, rilevando, per contro, la persistenza
dell'interesse all'accertamento dell'avvenuta risoluzione del contratto,
in forza dell'operatività di una clausola risolutiva espressa, giacché
essa avrebbe comportato, ai sensi dell'art. 1458 c.c., la condanna alla
restituzione delle prestazioni adempiute). (Cassa con rinvio, App.
Brescia, 04/11/2011)
FONTI CED Cassazione, 2015
E’ possibile
rinunciare a una risoluzione già verificatasi? Due massime opposte,
almeno all’apparenza. Nella prima, si deve supporre che la rinuncia alla
risoluzione non abbia leso l’affidamento della controparte, diversamente
le due massime risultano in contrasto.
Cass. civ. Sez. II, 09-05-2016, n. 9317 (rv. 639889)
Il contraente che abbia intimato
diffida ad adempiere, dichiarando espressamente che allo spirare del
termine fissato, il contratto sarà risolto di diritto, può rinunciare,
anche dopo la scadenza nel termine indicato nella stessa e anche
attraverso comportamenti concludenti, alla diffida e al suo effetto
risolutivo. (Rigetta, App. Brescia, 22/06/2010)
FONTI CED Cassazione, 2016
Cass. civ. Sez. VI - 3 Ordinanza,
14-10-2015, n. 20768.
In caso d’intervenuta risoluzione del
contratto, sia legale che giudiziale, la parte a favore della quale si
sono prodotti gli effetti risolutivi non può rinunciarvi, restando
altrimenti leso l'affidamento legittimo del debitore sulla dissoluzione
del contratto. (Cassa e decide nel merito, App. Firenze, 30/04/2014)
FONTI CED Cassazione, 2015.
Secondo l’art.
1455 la risoluzione non può essere chiesta se l’inadempimento ha scarsa
importanza per l’interesse della parte. Ma come si fa a desumere
l’importanza dell’inadempimento?
Cass. civ. Sez. II, 27-05-2015, n.
10995
In tema di risoluzione per
inadempimento, il giudice, per valutarne la gravità, deve tener conto di
tutte le circostanze, oggettive e soggettive, dalle quali sia possibile
desumere l'alterazione dell'equilibrio contrattuale. (In applicazione
del principio esposto, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che,
in un caso di vendita con riserva di proprietà, aveva valutato
l'importanza dell'inadempimento avendo riguardo sia del numero delle
rate scadute e non pagate al momento della domanda, sia dell'intenzione
manifestata dal compratore prima del giudizio di non voler provvedere al
pagamento dei ratei successivi). (Rigetta, App. Torino, 10/02/2009)
FONTI CED Cassazione, 2015.
La quantificazione del risarcimento
del danno in caso di risoluzione del contratto di locazione; un simile
principio è probabilmente applicabile nella risoluzione dei contratti di
durata.
Cass. civ. Sez. III, 13-02-2015, n. 2865
Il locatore che abbia chiesto e
ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per
inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno
per la anticipata cessazione del rapporto di locazione, da individuare
nella mancata percezione dei canoni di locazione concordati fino al
reperimento di un nuovo conduttore. L'ammontare del danno risarcibile
costituisce valutazione del giudice di merito che terrà conto di tutte
le circostanze del caso concreto. (Cassa con rinvio, App. Firenze,
06/06/2011)
FONTI. CED
Cassazione, 2015
Abbiamo visto che
si può chiedere l’adempimento del contratto ma poi si può cambiare idea
e chiedere la risoluzione, e quando “ si cambia idea” nel giudizio si
possono chiedere anche i danni e le restituzioni delle prestazioni già
eseguite.
Cass. civ. Sez. Unite, 11-04-2014, n. 8510.
La parte che, ai sensi dell'art. 1453,
secondo comma, cod. civ., chieda la risoluzione del contratto per
inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere
l'adempimento, può domandare, contestualmente all'esercizio dello "ius
variandi", oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche
il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del
regolamento negoziale. (Rigetta e rimette sez. semplici, App. Trieste,
24/01/2012)
FONTI CED Cassazione, 2014
La richiesta di
risarcimento danni presuppone, implicitamente, la richiesta di
risoluzione del contratto? No.
Cass. civ. Sez. II, 24-03-2014, n.
6886.
Nel contratto d'opera intellettuale,
qualora il committente non abbia chiesto la risoluzione per
inadempimento, ma solo il risarcimento dei danni, il professionista
mantiene il diritto al corrispettivo della prestazione eseguita, in
quanto la domanda risarcitoria non presuppone lo scioglimento del
contratto e le ragioni del committente trovano in essa adeguata tutela.
(Cassa con rinvio, App. Milano, 11/12/2007)
FONTI CED Cassazione, 2014.
La congruità del
termine dei 15 gg. nella diffida ad adempiere che possono essere troppi
o troppo pochi.
In materia di diffida ad adempiere, il
giudizio sulla congruità del termine di quindici giorni
previsto dall'art. 1454 cod. civ. non può essere unilaterale ed avere ad
oggetto esclusivamente la situazione del debitore, ma deve prendere in
considerazione anche l'interesse del creditore all'adempimento ed il
sacrificio che egli sopporta per l'attesa della prestazione.
Ne consegue che la valutazione di
adeguatezza va commisurata - tutte le volte in cui l'obbligazione del
debitore sia divenuta attuale già prima della diffida - non rispetto
all'intera preparazione all'adempimento, ma soltanto rispetto al
completamento di quella preparazione che si presume in gran parte
compiuta, non potendo il debitore, rimasto completamente inerte sino al
momento della diffida, pretendere che il creditore gli lasci tutto il
tempo necessario per iniziare e completare la prestazione. (Nella
specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito rilevando che nella
valutazione della congruità del termine di quindici giorni assegnato
alla promittente venditrice di un contratto preliminare di vendita
immobiliare con la diffida ad adempiere doveva tenersi conto dell'enorme
lasso di tempo anteriore alla notifica della diffida, quantificabile in
circa sette anni, nel corso del quale la stessa ben avrebbe avuto la
possibilità di compiere nei registri immobiliari le necessarie visure e,
quindi, effettuare, una volta ricevuta la diffida, il pagamento
necessario al fine di liberare l'immobile dalle formalità trascritte).
(Cassa con rinvio, App. Potenza, 14/01/2008) FONTI CED Cassazione, 2014
Cass. civ. Sez. II, 06-11-2012, n.
19105 (rv. 624193)
In tema di diffida ad adempiere, ai
sensi dell'art. 1454, secondo comma, cod. civ., il termine assegnato al
debitore, cui è strumentalmente collegata la risoluzione di diritto del
contratto, può essere anche inferiore a quindici giorni, non ponendo
detta norma una regola assoluta, purché tale minor termine risulti
congruo per la natura del contratto o secondo gli usi, costituendo, in
ogni caso, l'accertamento della congruità del termine giudizio di fatto
di competenza del giudice di merito, incensurabile in sede di
legittimità se esente da errori logici e giuridici. (Rigetta, App.
Firenze, 19/10/2005)
FONTI CED Cassazione, 2012.
La clausola
risolutiva espressa ex art. 1456 presuppone comunque un inadempimento
che porta alla risoluzione, è chiaro che mancando l’uso della clausola
non produce la risoluzione del contratto. In questa massima, però, si va
oltre, se l’evento oggetto della clausola è tenuto dal debitore ma
questo comportamento è comunque conforme a buona fede, la risoluzione
non opera.
Cass. civ. Sez. I, 23-11-2015, n. 23868.
L'agire dei contraenti va valutato,
anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, secondo il
criterio generale della buona fede, sia quanto alla ricorrenza
dell'inadempimento che del conseguente legittimo esercizio del potere
unilaterale di risoluzione, sicché, qualora il comportamento del
debitore, pur integrando il fatto contemplato dalla suddetta clausola,
appaia comunque conforme a quel criterio, non sussiste l'inadempimento,
né i presupposti per invocare la risoluzione, dovendosi ricondurre tale
verifica non al requisito soggettivo della colpa, ma a quello,
oggettivo, della condotta inadempiente. (In applicazione dell'anzidetto
principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva negato
l'inadempimento della licenziataria di un marchio per non aver inviato
alla concedente il pattuito estratto conto semestrale, assumendo che
l'emissione di un'unica fattura nell'ultimo giorno di quel semestre ne
faceva ritenere ragionevole la trasmissione in quello successivo).
(Rigetta, App. Torino, 26/04/2010)
FONTI CED Cassazione, 2015.
Altra massima
interessante, sia perché descrive gli effetti della clausola risolutiva
espressa, sia perché pone in evidenza che le parti potrebbero aver
inteso la clausola come condizione risolutiva del contratto.
La clausola risolutiva espressa (art.
1456 c.c.) è la clausola con la quale le parti prevedono che il
contratto dovrà considerarsi risolto qualora una determinata
obbligazione non venga adempiuta affatto o non venga adempiuta secondo
le modalità stabilite. In tal caso, la risoluzione si verifica di
diritto quando la parte non inadempiente (la quale ha diritto di
scegliere tra il mantenimento del contratto e la sua risoluzione)
dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva.
Pertanto, in materia di contratti,
stabilire se sussista una condizione risolutiva o una clausola
risolutiva espressa dipende dall’interpretazione della volontà delle
parti, rimessa al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità
solo nella misura in cui sia informata ad erronei criteri giuridici o
non sorretto da una motivazione logicamente adeguata. FONTI Notariato,
2014, 6, 363
La clausola
risolutiva espressa può applicarsi ai contratti non sinallagmatici?
Cass. civ. Sez. II, 20-06-2014, n. 14120 In
tema di donazione modale, la risoluzione per inadempimento dell'onere
non può avvenire "ipso iure", senza valutazione di gravità
dell'inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, istituto
che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al
negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un "modus". (Cassa con
rinvio, App. Salerno, 20/11/2007) FONTI CED Cassazione, 2014.
Se in un contratto
è contenuta una clausola risolutiva espressa e di fronte a un
inadempimento l’altra parte non se ne avvale, vuol forse dire che ha
rinunciato ad avvalersene?
Cass. civ. Sez. II, 31-10-2013, n. 24564
In merito alla clausola risolutiva
espressa, la tolleranza della parte creditrice, che può manifestarsi
tanto in un comportamento negativo, quanto in uno positivo, non implica
l'eliminazione della predetta clausola per modificazione della
disciplina contrattuale. Altresì, tale tolleranza non è sufficiente ad
integrare una tacita rinuncia ad avvalersene, ove la parte creditrice
contestualmente o successivamente all'atto di tolleranza evidenzi
l'intenzione di avvalersi della clausola in caso di ulteriore
protrazione dell'inadempimento. FONTI Massima redazionale De Agostini
Giuridica, 2013.
Come già accennato
prima, non basta che si verifichi il fatto previsto dalla clausola per
poter giungere alla risoluzione del contratto, è anche necessaria
l’imputabilità dell’inadempimento che però non può essere desunto da
comportamenti successivi all’inadempimento che ha portato all’uso della
clausola.
Cass. civ. Sez. III, 27-08-2013, n. 19602
Posto che la clausola risolutiva
espressa non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto a
seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario
l'accertamento dell'imputabilità dell'inadempimento al debitore almeno a
titolo dì colpa, tale accertamento non può essere condotto con
riferimento a comportamenti delle parti successivi al suo verificarsi, i
quali sono semmai suscettibili di assumere solo l'eventuale significato
di evidenziare per facta concludentia, ex latere della parte che può
dichiarare di volersi avvalere della clausola ed ancora non l'abbia
fatto, il valore di rinuncia ad esercitare il diritto di avvalersene.
FONTI Foro It., 2013, 12, 3459.
In tutti i casi di
risoluzione l’inadempimento deve essere imputabile.
Cass. civ. Sez. II, 13-03-2006, n. 5407
Anche ai fini dell'accertamento della
risoluzione di diritto, conseguente a diffida senza esito intimata dalla
parte adempiente, il Giudice è tenuto comunque a valutare la sussistenza
degli estremi, soggettivi ed oggettivi, dell'inadempimento, considerato
che l'art. 1454 c.c., quando fa riferimento alla parte "inadempiente",
presuppone che l'inadempimento si sia già manifestato con tutti i suoi
connotati ed accorda alla parte adempiente, quale alternativa alla
facoltà di adire il Giudice per ottenere la sentenza costitutiva ex art.
1453 c.c., una possibilità di autotutela che, pur costituendo esercizio
di un diritto potestativo, non è rimessa al mero arbitrio.
Occorre, infatti, che l'inadempienza,
già manifestatasi, per la cui cessazione l'intimante accorda un termine
perentorio oltre il quale la stessa non è più tollerata, risponda agli
ordinari ed indispensabili requisiti di imputabilità ed importanza
ex art. 1455 c.c., la cui sussistenza va valutata all'atto
dell'intimazione.
FONTI Obbl. e Contr., 2006, 12.
L’eccezione d’inadempimento (art.
1460) contraria a buona fede. In generale e un caso specifico.
Cass. civ. Sez. II, 27-03-2013, n. 7759
Il giudice è chiamato a svolgere una
valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, avendo riguardo
anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale
del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio
sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle
stesse, con l'effetto che qualora rilevi che l'inadempimento della parte
nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa
importanza, in relazione all'interesse dell'altra parte a
norma dell'art. 1455 cod. civ., deve ritenersi che il rifiuto di
quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non sia
in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell'art. 1460
c.c., comma 2.
FONTI Notariato, 2013, 3, 248
Cass. civ. Sez. lavoro, 05-03-2015, n.
4474
In tema di eccezione "inadimplenti non
est adimplendum", è contrario a buona fede e, quindi, illegittimo, ai
sensi dell'art. 1460, secondo comma, cod. civ., il rifiuto del
lavoratore di accettare la nuova sede di lavoro a fronte
dell'inadempimento del datore, il quale abbia omesso di erogargli una
somma a titolo di risarcimento del danno derivante della declaratoria di
nullità del termine apposto al contratto, giacché l'inadempimento in
questione, non riguardando il corrispettivo della prestazione, non
inerisce direttamente al sinallagma fra le obbligazioni facenti capo
alle parti del rapporto di lavoro. (Rigetta, App. Perugia, 16/05/2008)
FONTI CED Cassazione, 2015.
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