Giurisprudenza.
Comune intenzione delle parti e interpretazione del contratto letterale Cass. civ., Sez. II, Ord., 24 aprile 2019, n. 11224
In tema di interpretazione del contratto, il carattere
prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso
assoluto, atteso che il richiamo, nell'art. 1362 c.c., alla
comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai
criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo
dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni
rivelatori di una diversa volontà dei contraenti.
Fonte De Agostini Giuridica 2019
Interpretazione complessiva e validità non sono la stessa cosa. Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 9 ottobre 2019, n. 25341
In tema di interpretazione del contratto,
l'interpretazione complessiva delle clausole contrattuali disposta dall'art.
1363 c.c. non postula necessariamente la
validità delle clausole utilizzate come strumento di ricostruzione
della volontà dei contraenti, in quanto le clausole contrattuali
valgono, nell'indagine ermeneutica, per il loro rilievo di mero
fatto, significante un dato contenuto negoziale e non già per la
loro idoneità a produrre effetti giuridici, che può anche mancare.
Pertanto, una clausola contrattuale anche non valida e perciò
inidonea a produrre effetti giuridici negoziali può e deve essere
utilizzata a norma dell'art. 1363 c.c. per
la ricostruzione dell'esatto contenuto di altre clausole non affette
da nullità. Peraltro, nell'interpretazione negoziale ai sensi degli artt.
1362 e 1363 c.c., il giudice non può
arrestarsi ad una interpretazione atomistica delle singole
dichiarazioni negoziali, ma deve collegarle e raffrontarle tra loro
ai fine di desumerne e chiarirne il significato.
Fonte De Agostini Giuridica 2019
La comune intenzione
delle parti da ricercare nell’interpretazione del contratto, bisogna
indagare anche il comportamento di un parte sola? No.
Cass. civ. Sez. I Ord., 08-06-2018, n. 15035
In tema di interpretazione del contratto, il comportamento tenuto
dalle parti dopo la sua conclusione, cui attribuisce rilievo ermeneutico
il l'art. 1362, comma 2, c.c. , è solo quello di cui siano stati
partecipi entrambi i contraenti, non potendo la comune intenzione degli
stessi emergere dall'iniziativa unilaterale di uno di essi,
eventualmente corrispondente ai suoi personali disegni.
FONTI
La comune intenzione
della parti per i contratti stipulati da un ente pubblico va ricercata
anche dai comportamenti dell’ente, cioè degli organi competenti, o solo
dal testo scritto?
Cass. civ. Sez. I Ord., 09-05-2018, n. 11190 (rv. 649029-01)
In tema di contratti degli enti pubblici, stante il requisito della
forma scritta imposto a pena di nullità per la stipulazione di tali
contratti, la volontà degli enti predetti dev'essere desunta
esclusivamente dal contenuto dell'atto, interpretato secondo i canoni
ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non potendosi fare
ricorso alle deliberazioni degli organi competenti, le quali, essendo
atti estranei al documento contrattuale, assumono rilievo ai soli fini
del procedimento di formazione della volontà, attenendo alla fase
preparatoria del negozio e risultando pertanto prive di valore
interpretativo o ricognitivo delle clausole negoziali, a meno che non
siano espressamente richiamate dalle parti; né può aversi riguardo, per
la determinazione della comune intenzione delle parti ex art. 1362,
comma 2, c.c. , alle deliberazioni adottate da uno degli enti
successivamente alla conclusione del contratto ed attinenti alla fase
esecutiva del rapporto, in quanto aventi carattere unilaterale. (Nella
specie, riguardante una convenzione tra Comune, Provincia e società
privata per un appalto di servizi, con anticipazione del corrispettivo a
carico della Provincia e diritto al recupero nei confronti del Comune,
FONTI
La comune intenzione
delle parti e contratti redatti con la forma scritta ad substantiam, i
comportamenti delle parti sono rilevanti in questo caso, no, secondo la
cassazione, lo diventano solo quando il testo è equivoco; per inteso
questa massima non mi soddisfa, l’art. 1362 dispone che il giudice non
deve limitarsi al senso letterale delle parole senza distinguere se
siano scritte o orali se siano oggetto di in contratto che richiede la
forma scritta a pena di nullità o meno.
Cass. civ. Sez. I Ord., 05-03-2018, n. 5112 (rv. 648107-01)
Nei contratti per i quali è prevista la forma scritta "ad substantiam",
la ricerca della comune intenzione delle parti, utilizzabile ove il
senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità, deve
essere compiuta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto,
soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo
scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo
delle parti, anche successivo alla stipulazione del contratto, in quanto
non può spiegare rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata
incorporata nel documento scritto. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE,
16/06/2014)
FONTI
Interpretazione e
elemento letterale.
Cass. civ. Sez. III Sent., 06-07-2018, n. 17718 (rv. 649662-01)
In tema di interpretazione del contratto, l'elemento letterale, sebbene
centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere
riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e,
segnatamente, di quello funzionale, che attribuisce rilievo alla
"ragione pratica" del contratto, in conformità agli interessi che le
parti hanno inteso tutelare mediante la stipulazione negoziale. (Cassa
con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 23/05/2014)
FONTI
Cass. civ. Sez. III Sent., 19-03-2018, n. 6675 (rv. 648298-01)
In tema di interpretazione del contratto, l'elemento letterale, sebbene
centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere
riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e,
segnatamente, dell'interpretazione funzionale, che attribuisce rilievo
alla causa concreta del contratto ed allo scopo pratico perseguito dalle
parti, oltre che dell'interpretazione secondo buona fede, che si
specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare
falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti
ingenerati nella controparte. (Rigetta, CORTE D'APPELLO BARI,
16/03/2015)
FONTI
La buona fede quale
essenziale criterio interpretativo ma sussidiario.
Cass. civ. Sez. II Ord., 23-07-2018, n. 19493 (rv. 649993-01)
Quando il senso del contratto o di una sua clausola sia rimasto oscuro o
ambiguo nonostante l'utilizzo dei principali criteri ermeneutici
(letterale, logico e sistematico), deve trovare applicazione il
principio della conservazione degli effetti utili del contratto,
previsto dall'art. 1367 c.c. ;
ne consegue che qualora le espressioni contenute nel contratto siano
ritenute inidonee a consentire una inequivoca interpretazione, si deve
comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano
corredate da buona fede, valutandone il comportamento complessivo,
tenendo conto anche degli effetti, con il limite comune agli altri
criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto non può
mai comportare una interpretazione sostitutiva della volontà delle
parti, dovendo in tal caso il giudice dichiarare, ove ne ricorrano gli
estremi, la nullità del contratto o della clausola (Nella specie CED Cassazione, 2018
Le regole dell’interpretazione, come si vede la ricerca della comune
intenzione dei contraenti va ricercata con un indagine su più fonti e
non fermandosi al significato letterale delle parole.
Cass. civ. Sez. III, 10-05-2016, n. 9380.
A norma dell'art. 1362 c.c., il dato
testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo
ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacché il
significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo
al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore
letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori
elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche
quando le espressioni appaiano di per sé chiare, atteso che
un'espressione "prima facie" chiara può non risultare più tale se
collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o
posta in relazione al comportamento complessivo delle parti;
ne consegue che l'interpretazione del
contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che
impone all'interprete, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, di
ricostruire in base ad essa l'intenzione delle parti e quindi di
verificare se quest'ultima sia coerente con le parti restanti del
contratto e con la condotta delle stesse. (Cassa con rinvio, App. Roma,
10/10/2012)
FONTI CED Cassazione, 2016
Nell'interpretazione del
contratto l'art. 1362 c.c. impone di compiere l'esegesi del testo,
ricostruire in base ad essa l'intenzione degli stipulanti e verificare
se l'ipotesi di comune intenzione ricostruita sia coerente con le
restanti parti del contratto e con la condotta, anche esecutiva, dei
contraenti, sicché non si esclude che debba essere indagato il
significato proprio delle parole, imponendosi esclusivamente di negare
valore al brocardo "in claris non fit interpretatio".
FONTI CED Cassazione, 2015.
Cass. civ. Sez. I, 13-03-2015, n. 5102
(rv. 634641)
In tema di interpretazione dei
contratti, la comune volontà dei contraenti deve essere ricostruita
sulla base di due elementi principali, ovvero il senso letterale delle
espressioni usate e la "ratio" del precetto contrattuale, e tra questi
criteri interpretativi non esiste un preciso ordine di priorità, essendo
essi destinati ad integrarsi a vicenda
FONTI CED Cassazione, 2015
Ancora esempi di
“ricerca multipla” che il giudice deve compiere per ricercare la comune
intenzione delle parti. Questa massima, però, rispetto alle altre mette
in luce che il contratto deve essere interpretato anche con riferimento
alla causa del contratto; evidentemente il giudice ha prima individuato
la causa del contratto (e questo vuol dire che l’ha anche qualificato) e
poi procede all’ulteriore interpretazione.
Cass. civ. Sez. III, 09-12-2014, n. 25840
A norma dell'art. 1362 cod. civ.,
l'interpretazione del contratto richiede, ai fini della ricostruzione
della volontà delle parti, che il giudice, anche quando il significato
letterale del contratto sia apparentemente chiaro, dopo aver compiuto
l'esegesi del testo, verifichi se quest'ultimo sia coerente con la causa
del contratto, con le dichiarate intenzioni delle parti e con la
condotta delle stesse. (Cassa con rinvio, App. Ancona, 28/11/2009)
FONTI. CED Cassazione, 2014
Questa massima
rompe le certezze delle precedenti, poiché dice che il giudice procede
ad analizzare il comportamento delle parti solo quando il testo sia
equivoco, ma questa massima non è nemmeno in linea con lo stesso testo
art. 1362.
Cass. civ. Sez. III, 31-10-2014, n. 23142 (rv. 633557)
La qualificazione del contratto come
preliminare o definitivo (nella specie, relativo alla cessione di un
pacchetto azionario) si risolve in un accertamento di fatto, rimesso al
giudice di merito, il quale, nell'interpretazione del contratto, ove il
dato letterale sia equivoco, può ricorrere al criterio di cui all'art.
1362, secondo comma, cod. civ. (comune intenzione delle parti),
assegnando rilievo anche all'avvenuta esecuzione delle prestazioni
(nella specie, immediata, sì da rendere evidente che le parti avessero
inteso concludere un contratto definitivo e non preliminare). (Rigetta,
App. Milano, 20/10/2010)
FONTI CED Cassazione, 2014
Anche nei negozi
unilaterali si applicano le regole sull’interpretazione dei contratti,
escludendo, ovviamente……..
Cass. civ. Sez. I, 06-05-2015, n. 9127
(rv. 635358)
Le norme in tema di interpretazione
dei contratti di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ., in ragione
del rinvio ad esse operato dall'art. 1324 cod. civ., si applicano anche
ai negozi unilaterali, nei limiti della compatibilità con la particolare
natura e struttura di tali negozi, sicché, mentre non può aversi
riguardo alla comune intenzione delle parti ma solo all'intento proprio
del soggetto che ha posto in essere il negozio, resta fermo il criterio
dell'interpretazione complessiva dell'atto. (Cassa con rinvio, App.
Trieste, 18/03/2008)
FONTI CED Cassazione, 2015
Interpretazione e qualificazione del
contratto sono operazioni strettamente collegate, in questa massima si
evince che è il comportamento delle parti a qualificare il contratto e
non il nomen iuris attribuito dalle parti.
Cass. civ. Sez. lavoro, 21-10-2014, n.
22289
Ai fini della distinzione fra lavoro
subordinato e lavoro autonomo, deve attribuirsi maggiore rilevanza alle
concrete modalità di svolgimento del rapporto, da cui è ricavabile
l'effettiva volontà delle parti (iniziale o sopravvenuta), rispetto al "nomen
iuris" adottato dalle parti e ciò anche nel caso di contratto di lavoro
a progetto, normativamente delineato come forma particolare di lavoro
autonomo, ai sensi dell'art. 61 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, rispetto ad
un'attività dedotta in termini di subordinazione con qualifica di
dirigente d'azienda, aveva ravvisato la prova di un rapporto di
consulenza professionale parasubordinato basandosi esclusivamente sugli
aspetti formali del contratto a progetto e senza valutare le ulteriori
risultanze processuali). (Cassa con rinvio, App. Napoli, 13/12/2011)
FONTI CED Cassazione, 2014.
Da questa massima
si evince l’ordine tra le operazioni di interpretazione e
qualificazione, l’interpretazione serve a individuare la comune
intenzione delle parti, e fatto ciò si individua la causa e quindi si
qualifica.
Cass. civ. Sez. II Sent., 16-04-2007, n. 9088 (rv. 596953)
Al fine di stabilire se
un contratto traslativo della proprietà di un bene, per il quale la
controprestazione sia costituita, in parte, da una cosa in natura e, in
parte, da una somma di denaro, costituisca una compravendita o una
permuta, una volta che si escluda la duplicità di negozi ovvero
l'ipotesi del contratto con causa mista, occorre avere riguardo non già
alla prevalenza del valore economico del bene in natura ovvero della
somma di denaro, bensì alla comune volontà delle parti, verificando se
esse hanno voluto cedere un bene contro una somma di denaro, commutando
una parte di essa, per ragioni di opportunità, con un altro bene, ovvero
hanno concordato lo scambio di beni in natura, ricorrendo
all'integrazione in denaro soltanto per colmare la differenza di valore
tra i beni stessi. (Cassa con rinvio, App. Brescia, 13 Giugno 2003)
FONTI Mass. Giur. It., 2007
Secondo questa massima ai criteri
d’interpretazione oggettiva si ricorre solo quando sono falliti quelli
d’interpretazione soggettiva, il che è evidente, colpisce, però, che un
criterio come la buona fede sia relegato nell’interpretazione oggettiva
e non sia un criterio che il giudice debba sempre tener presente anche
quando procede all’interpretazione soggettiva. D’altro canto
nella successiva massima si chiarisce che se una clausola è contraria a
buona fede può essere nulla, e allora si può intendere come alla
interpretazione secondo buona fede si giunga in sede d’interpretazione
oggettiva, ma questo non consente che nel contratto vi siano clausole
contrarie a buona fede.
Cass. civ. Sez. VI - 2 Ordinanza,
14-03-2013, n. 6482
I criteri di cui agli artt. 1366-1370
c.c., detti di interpretazione oggettiva perché si fondano sul concetto
di buona fede o su altri criteri oggettivi che comunque non sono
riconducibili alla comune volontà delle parti, sono previsti per
l'ipotesi di insuccesso della ricerca della volontà in concreto ed
impongono all'interprete di ricercare il significato obiettivo della
dichiarazione negoziale.
E' quindi possibile farvi ricorso
quando le regole di interpretazione soggettiva non sono sufficienti a
chiarire il contenuto del contratto. L'art. 1371 c.c. pone delle regole
di interpretazione di chiusura cui è possibile fare ricorso solo qualora
tutte le altre regole di interpretazione si siano rivelate insufficienti
allo scopo.
FONTI Fisco QOL - Quotidiano on line,
2013.
Cass. civ. Sez. III, 23-05-2011, n. 11295.
Il comportamento delle parti contrario
a buona fede oggettiva e posteriore alla conclusione del contratto non
può essere valutato come canone interpretativo dello stesso ai
sensi dell'art. 1362, secondo comma, cod. civ., al fine di escludere la
vessatorietà di una delle clausole in esso contenute. Tale clausola, ove
risulti in sede interpretativa contraria a buona fede, va espunta dal
contratto per la sua nullità. (Fattispecie relativa a clausola
limitativa di responsabilità in contratto assicurativo). (Cassa con
rinvio, App. Trieste, 19/08/2006) |
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