Giurisprudenza
Il motivo illecito
può essere causa di nullità se comune alle parti del contratto; si pone
allora il problema se un negozio che ponga in essere attività
pregiudizievoli per i terzi, nella specie i creditori, sia nullo per
illiceità dei motivi; la cassazione lo esclude.
Cass. civ. Sez. III, 31-10-2014, n. 23158
In assenza di una norma che vieti, in
via generale, di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per
i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori
non è, di per sé, illecito, sicché la sua conclusione non è nulla per
illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito
determinante comune alla parti, apprestando l'ordinamento, a tutela di
chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, dei rimedi speciali che
comportano, in presenza di particolari condizioni, l'applicazione della
sola sanzione dell'inefficacia. (Cassa e decide nel merito, Trib. Roma,
23/06/2008)FONTI CED Cassazione, 2014
Sulla corretta
individuazione del motivo illecito; c’è la necessità che il motivo
comune contrasti con una norma imperativa, o con l’ordine pubblico o con
il buon costume; di conseguenza un motivo comunque dannoso ma che non
contrasti con una norma imperativa, o con l’ordine pubblico o con il
buon costume non è illecito, come si rileva da queste due sentenze.
Cass. civ. Sez. I, 04-10-2010, n. 20576
Il motivo illecito che, se comune e
determinante, determina la nullità del contratto, si identifica con una
finalità vietata dall'ordinamento perché contraria a norma imperativa,
ai principi dell'ordine pubblico o del buon costume, ovvero poiché
diretta ad eludere, mediante detta stipulazione, una norma imperativa.
Pertanto, l'intento delle parti di
recare pregiudizio ad altri - quale quello di attuare una frode ai
creditori, di vanificare un'aspettativa giuridica tutelata o di impedire
l'esercizio di un diritto - non è illecito, ove non sia riconducibile ad
una di tali fattispecie, non rinvenendosi nell'ordinamento una norma che
sancisca in via generale (come per il contratto in frode alla legge)
l'invalidità del contratto in frode dei terzi, per il quale, invece,
l'ordinamento accorda rimedi specifici, correlati alle varie ipotesi di
pregiudizio che essi possano risentire dall'altrui attività negoziale.
(Principio applicato in fattispecie di
pegno di titoli costituito con un terzo finalizzata ad arrecare
pregiudizio ai creditori fallimentari). (Cassa con rinvio, App. Milano,
23/04/2007) FONTI CED Cassazione, 2010
Cass. civ. Sez. I, 28-04-2010, n.
10215.
Il patto parasociale che impegna i
soci a votare in assemblea contro l'eventuale proposta di intraprendere
l'azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori,
non è contrario all'ordine pubblico, ma agli art. 2392 e 2393 cod.
civ. , i quali non pongono principi aventi tale carattere, ma sono norme
imperative inderogabili, con conseguente nullità del patto, in quanto
avente oggetto (la prestazione inerente alla non votazione dell'azione
di responsabilità) o motivi comuni illeciti (perché la clausola mira a
far prevalere l'interesse di singoli soci che, per regolamentare i
propri rapporti, si sono accordati a detrimento dell'interesse generale
della società al promovimento della detta azione, dal cui esito positivo
avrebbe potuto ricavare benefici economici);
né l'estensione della nullità
all'intero negozio e la conversione del negozio nullo, di cui agli artt.
1419 e 1424 cod. civ. , implicano la violazione dell'ordine pubblico, in
quanto l'istituto della nullità non è, di per sé, di ordine pubblico,
potendo solo alcune sue ipotesi essere generate dalla violazione di tali
principi. (Rigetta, App. Brescia, 11/06/2004)
FONTI CED Cassazione, 2010
Causa illecita e
motivo illecito, negli atti unilaterali tendono a identificarsi.
Cass. civ. Sez. II, 19-10-2005, n. 20197
La norma dettata dall'art.1345 cod.
civ. che, derogando al principio secondo il quale i motivi dell'atto di
autonomia privata sono di regola irrilevanti, eccezionalmente
qualifica illecito il contratto determinato da un motivo illecito comune
alle parti, in virtù del disposto di cui all'art. 1324 cod. civ. , trova
applicazione anche rispetto agli atti unilaterali, laddove essi siano
finalizzati esclusivamente al perseguimento di scopi riprovevoli ed
antisociali, rinvenendosi l'illiceità del motivo, al pari della
illiceità della causa, a mente dell'art.1343 cod. civ., nella
contrarietà dello stesso a norme imperative, all'ordine pubblico o al
buon costume.
Ne consegue che, sussistendone le
condizioni di fatto, deve qualificarsi affetto da motivo illecito e
quindi nullo, ai sensi dell'art.1418, secondo comma, cod. civ., l'atto
di recesso da un rapporto di agenzia che, diretto nei confronti di un
agente costituito in forma di società di persone, risulti ispirato dalla
sola finalità di rappresaglia e di ritorsione nei confronti del
comportamento sindacale tenuto dai soci di quest'ultima, dovendosi
ritenere un siffatto motivo contrario alle norme imperative poste a
tutela delle libertà sindacali dei lavoratori, norme che, in ragione del
valore e della tutela che lo stesso dettato costituzionale assegna al "
lavoro ", nella sua accezione più ampia, appaiono estensibili, al di
fuori dei rapporti di lavoro subordinato, a tutti coloro che svolgono
attività lavorativa, anche se in forma parasubordinata o autonoma.
FONTI Mass. Giur. It., 2005 |